La situazione italiana relativamente al fenomeno della migrazione affrontato nella prima parte non sembra essere peggiore di quella di altri Paesi, anzi è forse meno pesante, ove si consideri anche il fatto che, sebbene ogni anno si iscriva un numero cospicuo di extracomunitari tra i residenti nel nostro Paese – peraltro in diminuzione tra il 2007 e il 2012 – di contro cresce sia in termini percentuali, sia relativi (in rapporto, cioè al peso esercitato sugli iscritti) la parte di coloro che si cancella, perché si trasferisce all’estero.
Ma allora perché nel nostro Paese si ha una percezione così grave del fenomeno della migrazione? Probabilmente è un concorso di cause che determina questa percezione. Prima di tutto occorre tener presente che tale fenomeno è piuttosto recente nel nostro Paese, non abituato, come quelli ex colonialisti o che hanno richiamato manodopera europea per molti decenni dopo la seconda guerra mondiale ad accogliere stranieri.
In secondo luogo, l’accelerazione che il fenomeno ha mostrato in un decennio circa (2005-2013), è stata veramente notevole, essendosi pressoché raddoppiato il numero di residenti stranieri, passato da 2,4 milioni di unità nel 2005, a 4,4 milioni nel 2013, con una incidenza sulla popolazione italiana, rispettivamente, del 4,1% e del 7,4%, sebbene vada considerato che solo il 70% circa di essi è costituito da extracomunitari.
In terzo luogo, la posizione geografica e la morfologia territoriale del nostro Paese giocano un ruolo del tutto particolare rispetto a quello assunto negli altri Paesi riguardo all’attrazione nei confronti degli immigrati.
L’esposizione del nostro Paese a essere il primo approdo per coloro che fuggono dalle aree più povere, nonché soggette a guerre dove la violenza è all’ordine del giorno e spesso ben superiore a quella che ogni conflitto comporta, si traduce in un’”attrazione irresistibile”, concentrata, peraltro, non su tutti i nostri 8.000 km di coste, ma solo su alcune coste, in particolare, della Sicilia. L’impatto che esercita una massa di persone su un piccolo centro abitato con limitate strutture ricettive e la difficoltà di un soccorso a mare, piuttosto che a terra, è molto più traumatico di quanto sarebbe se distribuito su un territorio più vasto e su terra ferma.
I Paesi del Mediterraneo, proprio a causa delle direttrici di arrivo dei migranti, che partono prevalentemente dal Nord Africa, sono quelli che sopportano gli sbarchi clandestini, ma solo il carico che subisce la Spagna è paragonabile a quello italiano, spesso con punte superiori alle nostre e distribuito, anche in questo caso, essenzialmente in due punti (Stretto di Gibilterra e Canarie), ma a Malta e in Grecia, facendo fede ai pochi dati disponibili, non conoscono – probabilmente per il tipo di politica adottato rispetto a tale fenomeno – ondate di sbarchi così massicce, come quelle che avvengono in Italia e Spagna.
In Italia è la Sicilia la regione meta di più facile accesso per questi disperati che affrontano il mare per salvarsi e per cercare un futuro migliore e solo marginalmente Puglia, Calabria e Sardegna sono scelte come destinazione.
I migranti sbarcati sulle nostre coste e, per meglio dire, sui 2-3 approdi su cui si concentrano gli arrivi, hanno conosciuto un minimo di circa 4.400 persone nel 2010 e un massimo di oltre 64.000 nel 2011, valore destinato a un’impennata quest’anno, in cui, nel solo primo semestre, già più di 61.000 persone hanno messo piede sul suolo italiano. L’andamento degli sbarchi è quanto mai variabile nel corso del periodo considerato. In particolare, si notano due anni (2009 e 2010) in cui si registra una notevole contrazione del fenomeno, in concomitanza con l’accordo di collaborazione instaurato tra il nostro Paese e la Libia, dalle cui coste partono moltissimi dei viaggi della speranza, su barconi fatiscenti.
Sono seguiti due anni, il 2011 e il 2012, contrassegnati, rispettivamente, dall’inizio e dalla fine della cosiddetta Primavera araba, che ha dato luogo, prima, a un consistente flusso di migranti verso le nostre coste, spaventati dagli avvenimenti che si stavano svolgendo nei propri Paesi e, poi, una battuta d’arresto per il ripristinarsi di una sorta di normalità.
Infine, l’operazione “Mare nostrum“ è stata, probabilmente, una ulteriore componente dell’aumento degli sbarchi clandestini.
Ma non è certo accettabile umanamente che si lascino al loro destino, nella propria patria, queste persone, che fuggono da condizioni miserrime e, ancor di più, dall’ingiustizia della guerra. Questa ondata di migranti, così consistente, si riversa, come abbiamo già detto, su piccoli centri come Lampedusa (circa 6.500 abitanti) o Pozzallo (circa 19.500 abitanti), i cui residenti sono inferiori al numero dei Migranti che ricevono in un anno.
Pur a fronte di un dispiegamento di forze notevoli della Marina Italiana, l’unica che sembra doversi preoccupare in Europa di una simile emergenza, si devono contare le vittime dei naufragi. Pur non essendo particolarmente rilevanti in termini percentuali stando ai dati ufficiali (nessuno conosce le proporzioni di questi drammi umani nelle loro reali proporzioni) ogni perdita umana rappresenta un peso sulla coscienza di chiunque viva lontano dalla fame, dalla tortura, dalle persecuzioni e dai conflitti. Nel 2009 le vittime rispetto agli sbarcati hanno toccato il picco del 4,4%.
Per far fronte agli arrivi, le farraginose leggi italiane, hanno messo a disposizione diversi tipi di centri: Centri di primo soccorso (Cpsa), dei Centri di accoglienza (Cda), dei Centri di accoglienza per richiedenti Asilo (Cara) e, infine, dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), per un totale di 7.307 posti nel 2012, elevato a 8.343 nel 2013.
Un numero di posti che potrebbe anche essere sufficiente se la permanenza dei migranti non fosse protratta per lungo tempo e se vi fosse una “regolarità” negli sbarchi. Essendo, invece, gli arrivi soggetti a diversi fattori e, primo fra tutti, le condizioni climatiche, occorre affrontare picchi notevoli concentrati anche in una sola giornata.
Ma alla fine, quanti sono coloro che hanno lo stato di rifugiato in Europa e quanti rimangono in Italia? Ebbene, al 2012, secondo stime del Centro Astalli, nei principali Paesi Ue c’erano circa 1.200.000 rifugiati, assorbiti per la metà dalla Germania e solo per il 5,4% dall’Italia.
Dunque, da questo excursus, abbastanza ampio, sul fenomeno dell’immigrazione dai Paesi extracomunitari, emerge una realtà in parte difforme dalla percezione che spesso si ha di essa. Emerge una realtà con la quale l’Europa ha sempre convissuto e alcuni Paesi in modo particolare, rappresentata dalla spinta di alcune popolazioni, per varie ragioni, verso il vecchio continente.
E’ dalla notte dei tempi che il Mediterraneo è un punto di incontro (e scontro) di popoli e civiltà, di infiltrazioni provenienti dalla lontana India e persino dalla Mongolia, nonché dall’Arabia e dalla Turchia.
Oggi, si ripetono ancora questi flussi, che vanno governati, disponendo anche di mezzi superiori al passato, ma soprattutto si dovrebbe informare la popolazione della vera consistenza di tali fenomeni non così rilevanti come si percepiscono. Si dovrebbero avere leggi che consentano, da un lato, un soccorso immediato ed esteso da parte di tutta l’Europa, nei momenti cruciali, dall’altro, di verificare in breve tempo lo Status dei migranti e, infine, di attuare azioni che permettano di frenare i flussi e agevolare, là dove possibile, la permanenza dei migranti nei paesi d’origine oppure di permettere loro di giungere in Europa in condizioni non rischiose e di essere accolti degnamente dai diversi membri della Ue.