Palazzo Madama va veloce verso il sì al ddl Boschi, ma in serata l'esecutivo ha rimediato il secondo ko in pochi giorni con votazione non palese. Una modifica firmata dai relatori abbassa di nuovo il numero dei sottoscrittori per la consultazione popolare e anche quello per le leggi di iniziativa popolare. Bocciata la modifica per allargare la platea degli elettori per il Colle. Ok alla fiducia solo della Camera. Abolito il Cnel
La riforma del Senato corre verso il primo sì. Ma se in giornata la maggioranza aveva approvato un articolo dopo l’altro senza particolari ostacoli, in serata il governo è andato sotto su un emendamento presentato da Sel sul quale la Lega Nord aveva ottenuto il voto segreto. Si tratta della modifica numero 30.123, prima firmataria Loredana De Petris, sull’articolo 30 del ddl riforme che modifica il Titolo V. L’emendamento, approvato con 5 voti di scarto (140 sì, 135 no), introduce nella Costituzione la competenza delle Regioni sulle materie che riguardano la “rappresentanza in Parlamento delle minoranze linguistiche“. L’accaduto sottolinea una particolare debolezza del governo nei casi di voto non palese: il 31 luglio l’esecutivo aveva dovuto ingoiare un ko su un emendamento, a firma del senatore della Lega Stefano Candiani, che assegna al nuovo Senato la possibilità di legiferare su alcune materie «eticamente sensibili» come bio-testamento, matrimonio e diritti civili. E un grosso rischio l’esecutivo lo aveva corso anche ieri, quando l’Aula si era trovata a votare un emendamento firmato da Felice Casson (Pd) che avrebbe mantenuto tra i poteri del Senato quello di votare amnistia e indulto (che invece saranno materia solo della Camera): è finita 143 a 141, con il governo a un passo da un ko ancora una vota propiziato dal voto segreto.
Giornata movimentata per la maggioranza, con i 5 Stelle che avevano tentato il blitz sull’emendamento a voto segreto del senatore Pd Miguel Gotor, ma la maggioranza aveva tenuto. E’ passata anche l’elezione del Capo dello Stato senza allargare la platea agli eurodeputati. Il ministro Maria Elena Boschi assicura: “Potremo cambiare questo punto quando il testo passerà alla Camera”. A rischio c’è la terzietà e il ruolo di garanzia del presidente della Repubblica che finirebbe ad essere solo espressione della maggioranza. Intanto un altro punto centrale della riforma ottiene l’approvazione: la fiducia al governo sarà data solo da Montecitorio e non anche dal Senato delle autonomie.
Firme per referendum tornano 500mila. Per le leggi popolari si media a 150mila
Un emendamento dei relatori riporta a 500 mila il numero delle firme per chiedere un referendum. Ma se i proponenti avranno raccolto più di 800mila firme, scatterà un quorum più basso per l’approvazione, calcolato sulla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni. Altrimenti servirà, come oggi, la maggioranza assoluta degli aventi diritto. Un altro emendamento inoltre, sempre presentato dai relatori per ridimensionare la versione della Commissione prevede non più 250mila, ma 150mila firme per le proposte di legge di iniziativa popolare che innalza la soglia di 50 mila firme previste dalla Costituzione attuale. Si prevede inoltre l’introduzione di referendum propositivi e d’indirizzo. “La legge costituzionale”, afferma la norma che dovrà essere votata in Aula, stabilisce “condizioni ed effetti” di quei referendum e “di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali”.
Cambia l’elezione del Capo dello Stato
Gli articoli approvati in mattinata sono quelli che vanno dal 21 al 24 del ddl Boschi, che riguardano il presidente della Repubblica. L’articolo 21, in particolare, modifica il sistema di elezione del capo dello Stato, escludendo dalla platea i tre delegati in rappresentanza delle Regioni e modificando il quorum di elezione. Sarà sempre il Parlamento in seduta comune a eleggere il presidente della Repubblica. Ma il plenum non sarà più integrato, come adesso, da tre delegati per ogni Regione. Cambia il quorum di validità dell’elezione. “L’elezione del presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dopo l’ottavo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta”. Gli articoli 22-24 del ddl costituzionale modificano anche la Costituzione per tenere conto del nuovo assetto delle Camere. Con l’eliminazione dell’elezione diretta del Senato, infatti, il presidente della Repubblica potrà sciogliere solo la Camera dei deputati. E qualora il Capo dello Stato sia impossibilitato a svolgere le sue funzioni, verrà sostituito non più dal presidente del Senato, ma dal presidente della Camera.
Elezione diretta del Colle, Grasso: “Inammissibile”
Il presidente del Senato Pietro Grasso ha dichiarato inammissibili diversi emendamenti (compreso quelli presentati da Maurizio Gasparri e Pier Ferdinando Casini) relativi alla possibile elezione diretta del Capo dello Stato. Grasso ha fatto riferimento in particolare alle conclusioni dei lavori della commissione Affari costituzionali, che ha escluso le proposte sull’elezione diretta, nonché al titolo del ddl all’esame, che circoscrive la materia a bicameralismo paritario, riduzione dei parlamentari, contenimento dei costi, abolizione del Cnel, Titolo V della seconda parte della Costituzione.
Approvato articolo 26: autorizzazione a procedere solo dalla Camera
Disco verde dell’aula del Senato all’articolo 26 del disegno di legge sulle riforme con 158 voti a favore, 28 contrari e 2 astenuti. La norma modifica l’articolo 96 della Costituzione e prevede che solo la Camera dei deputati deve dare all’autorità giudiziaria l’autorizzazione a procedere nei confronti del presidente del Consiglio o dei ministri.
Via libera alla soppressione del Cnel
Via libera dell’Aula del Senato alla soppressione del Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. L’assemblea infatti approva l’art. 27 del ddl riforme che ne prevede l’abolizione, con 203 voti favorevoli, 11 contrari e 7 astenuti.
Ok a soppressione delle Province
Passa anche la soppressione delle Province dall’art. 114 della Costituzione. L’Assemblea ha approvato infatti con 179 sì, 41 no e 9 astenuti l’art. 28 del ddl riforme, che sopprime la menzione delle Province tra le articolazioni territoriali della Repubblica.
Bocciato con voto segreto emendamento su minoranze linguistiche
Nuovo voto segreto in Senato su un emendamento sulle minoranze linguistiche e nuovo pericolo scampato per il governo. Una proposta di modifica di Sel per introdurre tra le competenze legislative dello Stato la “rappresentanza in Parlamento delle minoranze linguistiche”, è stato bocciato con 138 voti contrari, 124 favorevoli e 7 astenuti. Ha votato anche il M5S: i grillini hanno di nuovo interrotto il loro ‘aventinò, nel tentativo di battere il governo, che aveva dato parere negativo all’emendamento.
Discussione sul titolo V, proteste della Lega Nord
Statuto speciale per Lombardia e Veneto. La Lega affonda il colpo per dare marca autonomista alla nuova Costituzione. In due emendamenti all’articolo 29 titolo V della seconda parte della Carta, il Carroccio ha portato proposte per allentare il vincolo di Roma. Il deputato leghista Stefano Candiani ha chiesto, accanto allo statuto ordinario, l’introduzione di quello speciale per la Lombardia, “Regione – ha detto il parlamentare leghista – in grado di trainare tutte le altre Regioni italiane e meritevole di maggiori spazi di manovra e di autonomia”. Richiesta identica, per il Veneto, è arrivata dal collega leghista Paolo Tosato, che in aula ha sventolato la bandiera col leone di San Marco, “vessillo in cui il popolo veneto da oltre mille anni si riconosce, simbolo di libertà. La nostra terra sta soffocando per le tasse imposte da Roma. Non possiamo permettere questo inesorabile declino. Siamo determinati ad andare fino in fondo. Vedremo chi mollerà per primo, se Roma o i veneti, se la frusta o la schiena. A Roma non la daremo vinta. Mai servi, diventeremo tutti indipendentisti”.