Salonicco è quella che si dice la seconda anima ellenica, più silenziosa e tenebrosa rispetto alle gettonatissime isole Cicladi, ma al contempo ricca di emozioni e di insegnamenti. Deve la sua origine al nome della sorella di Alessandro Magno, Thessaloniki sposa di Kassandros, che ha dato tra l’altro la denominazione al primo dei tre piedi. Sì, proprio tre piedi: le tre protuberanze che compongono la penisola Calcidica, vero e proprio fazzoletto di terra incontaminata e surreale che ha nel Monte Athos, dove vivono i monaci ultraortodossi detti palioimerologhites, il suo punto focale. Si tratta della nota Agios Oros, un concentrato di monasteri inaccessibile per le donne, dove si dice vi siano le spiagge più belle di Grecia, i luoghi più adatti per la meditazione ed il raccoglimento, oltre al nettare di uva più pregiato.
Da lì è facile raggiungere due isole fuori dai circuiti turistici, ma dense di storia e di meraviglie naturali: Tassos e Samotraki, quest’ultima patria della famosa Nike. Aggirarsi per il nord della Grecia ha un sapore ancestrale, quasi “altro” rispetto al caos del continente, dove al tramonto è finanche possibile ascoltare le note di Maria Callas sul bagnasciuga di uno dei tre piedi, invaso con una docilità d’altri tempi da camper e pittori in religioso silenzio.
Ma da Salonicco si può accedere, a meridione, anche alla cittadina di Dìon, da dove Alessandro Magno partiva per le sue campagne, dove ancora oggi sono presenti i primi esempi assoluti di sauna e di fognatura, realizzati dagli architetti del macedone. E ancora, le passeggiate su per la chiesa di Agios Dimitrios non prima di aver ammirato il torrione simbolo della città, gli ouzerì dove si può gustare il polpo e l’ouzo scorre a fiumi, ma solo in compagnia di quegli amici che, come ci insegna la danza di Zorbàs con le sue mani poggiate sulle spalle, sono il pan della vita. Un simbolo nella Grecia che fatica ad uscire dal protettorato della Troika, ma al contempo un punto fermo. Perché proprio il romanzo vergato da Nikos Kasantzakis, poi ripreso nella celebre pellicola con Anthony Queen è icona dell’esistenza: quando tutto è finito e crollato, non ci resta che ballare e danzare, perché nulla è perduto per sempre.
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