Un articolo del Decreto riesuma 5 emendamenti identici presentati da Pd, Fi, Ncd, Sci che declassano i rifiuti in Lista Verde, tra cui spiccano le "Navi ed altre strutture galleggianti destinate alla demolizione". Per conferire i materiali agli impianti basterà una semplice comunicazione entro 45 giorni. "Non si capisce chi lo ha scritto, forse una velina del ministero o di qualche impresa"
C’è anche un emendamento spolpa Concordia nel Decreto competitività votato con la fiducia alla Camera. Con l’arrivo al porto di Genova sono calati i riflettori ed è ufficialmente partita la corsa alle spoglie del relitto tristemente più famoso al mondo. Ferro, rame, componenti elettronici a tonnellate che, anche con la ruggine, valgono milioni. Solo le 50mila tonnellate di acciaio dello scheletro ne varrebbero almeno 13. Poi ci sono 1500 cabine, 13 ponti, un centro benessere da 2mila metri quadri, 13 bar, 5 ristoranti. Nella fase di smantellamento del relitto diventeranno tutti rifiuti e dovranno essere catalogati, classificati e separati da quelli non affini, per poi essere riciclati o recuperati. Restituiranno, tra gli altri, 2mila tonnellate di cavi elettrici e alternatori, mille di lana di roccia, 6mila tonnellate di componentistica di arredo. In altre parole, una miniera d’oro.
Non a caso il governo ha caldeggiato la possibilità di volgere la tragedia del Giglio in occasione di sviluppo per il Paese, creando proprio intorno a Genova un polo industriale dello smaltimento navale che possa rimettere in moto la cantieristica portando commesse, lavoro, soldi. Le migliori intenzioni, a volte, s’infrangono però sui dettagli: il relitto di una nave e le sue componenti, per legge, sono classificati come rifiuti pericolosi. Lo impone il regolamento comunitario 1013/2006 e lo stabilisce anche il D. Lgs 152/2006. Tutti i materiali, dunque, non solo il carburante residuo, gli oli, le morchie e i metalli pesanti nelle vernici che destano i timori degli ambientalisti.
Il problema è che il porto di Genova, vincitore nel derby nazionale con Piombino, può eseguire la sola demolizione e preparazione dei rifiuti. Il trattamento deve avvenire in impianti separati e muniti di apposita Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Certo non nel bacino di Riparazioni Navali della Porto San Giorgio, la società che insieme a Saipem si è aggiudicata il lavoro da 100 milioni e cui Costa ha trasferito l’intera proprietà del relitto, al prezzo simbolico di 1 euro. Nel bacino rimesso a nuovo sarà possibile solo la rimozione. A settembre, dunque, partiranno le gare per conferire i rifiuti agli impianti autorizzati che sono una cinquantina in tutta Italia, individuati per specifiche tipologie di rifiuto, e sono tutti soggetti a lunghe e complesse procedure di tutela ambientale: per avere un nullaosta, in alcuni casi, possono aspettare anche quattro anni. In questo quadro, si annunciano dunque tempi lunghissimi. E non solo per la Concordia, ma per tutta la nascente filiera nazionale dei disossatori di navi.
L’emendamento che semplifica la vita alle industrie
Ecco allora che viene in soccorso la politica. Lo fa con un emendamento, anzi una serie, che semplifica le procedure di smaltimento e spalanca le porte delle fonderie e delle discariche cui andranno conferiti, una volta separati, i materiali di recupero dei giganti del mare. Poche righe che fanno la differenza perché, senza darlo a vedere, di fatto declassano il relitto: da rifiuto pericoloso a rifiuto comune. Poche righe che più mani cercano in tutti i modi d’inserire nella prima legge utile. E alla fine, ce la fanno. Prima di arrivare al dl competitività ci provano con un disegno di legge del ministro Orlando sugli incentivi alla green economy. E’ qui che arrivano cinque emendamenti identici tra loro presentati da Pd, Fi, Ncd e Udc. A una prima lettura sembrano innocui. Risalendo però i riferimenti normativi citati e collocandoli dentro l’articolato di legge, si arriva dritto lì, a spalancare le porte a chi la Concordia se la mangerà a pezzi. Ecco come.
Gli emendamenti all’art. 11 dicono tutti la stessa cosa: “La previsione di ulteriori semplificazioni amministrative per i rifiuti in Lista Verde individuati dal Regolamento UE n. 1013/2006 che possono essere utilizzati negli impianti industriali autorizzati ai sensi del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, nel rispetto del relativo BAT References, tramite la sola comunicazione da inoltrarsi 45 giorni prima dell’avvio dell’attività all’autorità ambientale competente. In tal caso i rifiuti saranno assoggettati al rispetto alle norme riguardanti esclusivamente il trasporto dei rifiuti e il formulario di identificazione”.
Cosa significa? Per capirlo tocca scorrere la Lista Verde, dove sono riportati i codici dei singoli rifiuti. Ce ne sono diversi, dai circuiti elettronici alla fibra di vetro. Ma è difficile immaginare che i partiti abbiano fatto proprie le istanze dei produttori di “setole di cinghiale per pennelli”. La luce si accende con la sigla “GC030” che segna il punto: “Navi ed altre strutture galleggianti destinate alla demolizione, adeguatamente vuotate di qualsiasi carico e di altri materiali serviti al suo funzionamento che possono essere classificati come sostanze o rifiuti pericolosi”. E’ o non è il ritratto della Concordia e del suo infausto destino di carcassa da spolpare? Se lo era chiesto lo stesso relatore del Dl Orlando, Alberto Zolezzi (M5S) che ha alzato il ciglio davanti a quegli emendamenti fotocopia: ma dove vogliono arrivare?
Tocca girare la domanda all’unica associazione di imprese che si occupa in modo specifico di questa materia. “E’ una mia valutazione ma mi sembra evidente, visti questi elementi, che la semplificazione proposta sia finalizzata a far ottenere a questi impianti – tra cui forse proprio quelli gestiti dal gruppo Saipem – autorizzazioni semplificate e in tempi rapidissimi”, risponde Simona Giovagnoni, segretario generale dell’Associazione nazionale servizi ecologici portuali e Unione nazionale imprese per la tutela dell’Ambiente Marino. “Se si seguisse tutto l’iter autorizzativo ordinario previsto dall’applicazione del Dlgs. 152/2006 (testo unico ambientale) ci vorrebbero altri 4 anni per poter smaltire tutti i rifiuti derivanti dalla demolizione della Concordia. Quindi sì, quegli emendamenti fotocopia, a mio giudizio, c’entrano eccome con la vicenda Concordia”.
“Una velina dal Ministero”
E infatti lo spolpa Concordia ha avuto tanti padrini – e nessun padre – in Parlamento. E’ spuntato la prima volta in forma di ben 5 emendamenti, zeppi di firme, al disegno di legge Orlando (ddl n. 2093) che doveva contenere misure di incentivo per la green economy e semplificazioni per l’industria del riciclo. Poi il provvedimento, che doveva diventare un collegato ambientale alla Legge di Stabilità, si è arenato e molte disposizioni sono state traslate nel Decreto competitività (n. 91/2014). Qui gli emendamenti sono resuscitati, stavolta come articolo unificato: il 13 comma 8- septies. Identico, manco a dirlo, il testo.
E ora anche nella maggioranza qualcuno si sorprende, non cogliendo origine e finalità ipotizza che il testo sia arrivato per dettatura diretta dal ministero dello Sviluppo Economico, su pressione industriale. “Io non ho idea da dove arrivino quegli emendamenti uguali a se stessi, di forze politiche diverse, che fanno pensare ci sia stata un’associazione, qualcosa e qualcuno che ha spinto insistentemente in quella direzione”, ragiona il relatore al Dl ambientale Alberto Bratti (Pd), annunciando che li stralcerà dal collegato ambientale. Ma ormai la frittata (o il favore) è fatto: con la fiducia si dirà “sì” a tutto il pacchetto, “spolpa Concordia” compreso.