Di recente, nel dibattito mondiale sul conflitto tra Israele e Palestina ha preso quota la “teoria dell’equidistanza”: secondo alcuni, noi lontani dal conflitto, non dovremmo schierarci, ma essere solo per la pace. Una domanda viene spontanea: perché mai l’opinione pubblica dovrebbe comportarsi in maniera più diplomatica delle diplomazie stesse? Quella sul Medio Oriente è forse la madre delle dispute dialettiche di politica internazionale ed è inevitabile, nell’era dei social network che finisca per veder amplificate le divisioni dal rissoso spazio delle discussioni sul web.
Certo, l’inclinazione italica alla tuttologia militante, il nostro irrefrenabile desiderio di dire la prima (e l’ultima) un po’ su tutto lo scibile umano, ci espone spesso al rischio della faziosità fine a se stessa, della difesa infinita del “noi” contro il “loro” ma va detto senza equivoci che l’equidistanza non è sinonimo di saggezza e superiorità intellettuale come tanti salotti virtuali del radicalismo-chic odierno vorrebbero far credere. Quante volte avete letto nelle ultime settimane status su Facebook del tenore: “Tutti esperti di diritto internazionale”, “tutti a tifare”, “dovrebbe interessarci solo la pace”, “facile schierarsi quando non si è coinvolti”? Tante. Questo pensiero, la “terza via”, immagina conflitti che si risolvono da soli (mai successo nella storia ma c’è sempre una prima volta), sposa un concetto di pace che assomiglia pericolosamente alla “pax romana” (imposta con le armi), riduce la passione ed il fuoco della politica ad un simposio tra intellettuali, dipinge una logica e matematica equidistanza come segni distintivi della ragione contro la barbarie delle fazioni.
Ma la realtà è ben diversa: l’equidistanza assomiglia da vicino ad un neo-conservatorismo molto in voga tra i liberal occidentali speculare al mantenimento di quello status quo che finisce per favorire solo una parte; vi lascio immaginare quale. Il governo italiano, ad esempio, non è affatto equidistante anche se sostiene di esserlo: quando Federica Mogherini ha invitato nell’informativa alla camera a non dividersi tra “amici di Israele e amici della Palestina”, sapeva certamente che “odi e disperazioni” di quella striscia di terra non sono distribuiti in parti uguali e soprattutto non partono da condizioni logistiche simili. Lei, più di noi dovrebbe saperlo perché lo Stato italiano, attraverso il governo che il ministro rappresenta è il primo fornitore Ue di sistemi bellici ad Israele.
In fondo neanche Matteo Renzi, quando ha chiesto il rilascio del militare israeliano “rapito” (morto in seguito durante i bombardamenti) ha mantenuto equidistanza: se quella in corso a Gaza è una guerra, e pochi dubitano si tratti di uno scenario di guerra, allora i soldati che cadono in mani “nemiche”, in base all’art.3 della Convenzione di Ginevra, non sono stati rapiti ma fatti “prigionieri”.
D’altronde la differenza tra un’azione dell’anonima sequestri e quella di un gruppo politico/istituzionale (per quanto se ne possano legittimamente non condividere gli obiettivi) dovrebbe apparire chiara ai più. Senza contare quanto difficile da definire sia un concetto come “terrorista“: l’Onu non ha ancora trovato accordo tra gli stati, su come definire un “terrorista”, perché il confine tra “movimento di liberazione nazionale” e “organizzazione terroristica” è talmente labile da sfuggire a qualunque classificazione.
Sarebbe certamente più equidistante sostenere la nascita di uno Stato palestinese, senza il quale, i colloqui continueranno ad essere a senso unico: uno stato sovrano da un lato e l’embrione di uno stato dall’altro. No, non è affatto “tifoseria” il volersi schierare e non lo è per diverse ragioni: in primis il conflitto tra israeliani e palestinesi vede come teatro una terra di frontiera dell’Ue (le acque territoriali cipriote confinano con quelle israeliane e di Gaza), poi organizzazioni umanitarie e milioni di euro degli europei sono investiti per migliorare le condizioni della popolazione palestinese (e per compensare l’inerzia delle istituzioni Ue). Come sono soldi europei anche quelli utilizzati per costruire quei rifugi per i profughi palestinesi che ad aprile le autorità israeliane hanno demolito perché site in una zona della Cisgiordania destinata da Israele ad un nuovo insediamento (illegale) di ben 3000 appartamenti.
Infine, l’opinione pubblica – dicono- dovrebbe influenzare l’azione del governo. Ancora convinti che quel conflitto ci sia del tutto estraneo? Schierarsi allora è giusto, almeno per evitare di finire come l’Europa che dice di non si schierarsi, come se Gaza fosse su Marte, e poi nella realtà non è affatto equidistante. Un po’ come i fautori della “terza via”, equidistanti ma di parte.