Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan non hanno solo il problema dell’economia che non riparte. Sul percorso del governo c’è un’altra bomba che minaccia di scoppiare nei prossimi mesi. Le banche italiane, che hanno in pancia titoli di Stato per 402 miliardi di euro, ora intendono alleggerire il fardello. Si prospetta così una tornata di vendite che farà aumentare il tasso di interesse su Btp e Bot e, di conseguenza, il costo del debito pubblico accumulato da Roma (2.166 miliardi). Qualche numero aiuta a capire meglio la portata della questione: a fine maggio gli istituti avevano in portafoglio il 25% di tutti i titoli sovrani a medio e lungo termine presenti sul mercato. La sola Intesa Sanpaolo ne ha iscritti a bilancio 102 miliardi, Unicredit è a quota 51,8 e il Monte dei Paschi di Siena a 24,1. Ebbene, la settimana scorsa Carlo Messina, che della prima è amministratore delegato, ha avvertito che vuole liberarsi di una parte della zavorra. “Con le nuove regole è meglio essere diversificati”, ha spiegato il banchiere. Anticipando che al posto di una quota di titoli italiani ne potrebbe comprare di francesi e tedeschi. E martedì una conferma è arrivata dal numero uno di Unicredit, Federico Ghizzoni, che ha definito il tema “importante” ricordando che “tutte le banche dovranno porsi il problema dei titoli di Stato e del rating”, cioè di come le autorità sovranazionali valutano i titoli stessi.
Il fatto è che il Comitato di Basilea, organizzazione responsabile della vigilanza bancaria Ue, intende cambiare le regole sui bond sovrani. Oggi sono considerati “a rischio zero”, ma in realtà, come ha dimostrato il caso greco, il debito degli Stati non è necessariamente a prova di bomba. E occorre tenerne conto. Non solo: gli “esami sotto sforzo” (stress test) che l’Autorità bancaria europea sta svolgendo sui bilanci bancari prevedono che gli istituti dimostrino di essere in grado di fronteggiare perdite di valore del 15,7% sui titoli di Stato a dieci anni che hanno in portafoglio. Di qui il rischio della fuga. Che, ha sottolineato lo stesso Ghizzoni, “avrà qualche impatto sul corso dei titoli di Stato”. Cioè, in ultima analisi, sugli interessi che lo Stato e quindi i contribuenti pagano per rifinanziare il debito. D’altro canto le maggiori banche non hanno alcun motivo per usare particolari riguardi a Renzi e Padoan, proprio ora che si preparano a mettere sul piatto altri milioni per Alitalia e fanno i conti con l’impatto dell’aumento retroattivo delle tasse sulle plusvalenze realizzate grazie alla rivalutazione delle quote di Bankitalia
Ce n’è abbastanza per mettere in agitazione via XX Settembre più di quanto non stiano già facendo l’andamento del pil e la prospettiva della legge di Stabilità da mettere a punto entro ottobre. E infatti Padoan è ben consapevole del pericolo. Non per niente il ministero, come segnalato mercoledì da Il Fatto Quotidiano,negli ultimi mesi ha approfittatoo dei bassi rendimenti (2,7% sui Buoni poliennali a dieci anni) per emettere più debito di quanto sia necessario per soddisfare il fabbisogno. Dall’ultimo bollettino di via Nazionale risulta che al 31 maggio il Tesoro aveva accumulato liquidità per 92,296 miliardi, contro i 60 miliardi del maggio 2013 e i 37,6 dello scorso dicembre.
E alla “mina” delle vendite da parte delle banche di casa nostra potrebbe aggiungersi, a fronte del peggioramento delle prospettive del Paese, una disaffezione degli investitori esteri. Lo fa temere, per esempio, l’analisi diffusa martedì da Goldman Sachs: nel report della banca d’affari americana si legge che la fase di recupero dei titoli di Stato italiani e di quelli degli altri Paesi “periferici” è finita e non sono attese ulteriori restrizioni del differenziale di rendimento rispetto al bund tedesco. Che anzi mercoledì, dopo la diffusione dei dati Istat sul Pil, è salito a 171 punti base, 14 in piu’ della vigilia. Gli analisti sottolineano anche di essere “più preoccupati per l’Italia, dove negli ultimi mesi i dati sull’attività economica hanno continuato a sorprendere al ribasso e le riforme istituzionali e strutturali non sono ancora state realizzate”. A questo si sommano peraltro indizi di disaffezione delle famiglie italiane, che tradizionalmente hanno sempre investito buona parte dei risparmi nei titoli di Stato: l’ultimo bollettino statistico di Bankitalia evidenzia che, probabilmente a causa del calo degli interessi pagati, il rendimento appunto, nei primi tre mesi dell’anno anche loro hanno snobbato le aste del Tesoro e disinvestito 7,8 miliardi di euro dai Btp.