Sono state le sue parole a permettere al Ros dei carabinieri di Reggio Calabria di arrestare 24 persone, sospettate di far parte delle cosche Pesce e Bellocco di Rosarno. Senza l’aiuto di Giuseppina Pesce, collaboratrice di giustizia, figlia, sorella e nipote dei potenti boss, sarebbe stato più difficile dare un seguito all’operazione “Sant’Anna“, che ha consentito di arrivare a Giuseppe Spataro, 57 anni, già fermato il 16 luglio ma poi scarcerato dal gip di Palmi, che aveva ritenuto deboli gli indizi a suo carico. Spataro è zio del 34enne Giuseppe Pesce, detto Testuni, che è ritenuto il reggente del clan.
Quella di oggi è il secondo atto dell’operazione iniziata il 16 luglio scorso, che portò all’arresto di otto persone. Dopo quei fermi, il gip di Reggio Calabria, Massimo Minniti, ha emesso un nuovo provvedimento non solo per i fermati, ma anche per altre 13 persone, accusate di aver appoggiato la latitanza di Testuni. Tra i destinatari figurano anche Giuseppe Bellocco (figlio del boss Gregorio Bellocco, condannato in via definitiva all’ergastolo) e Domenico Bellocco (figlio del boss Michele Bellocco, condannato a 17 anni).
Gli arrestati nell’operazione “Sant’Anna” sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, porto e detenzione illegale di armi e munizioni, favoreggiamento personale e intestazione fittizia di beni. Gli ultimi tre reati aggravati dalle finalità mafiose.
Ma il duro colpo inferto alle cosche Pesce e Bellocco parte da lontano, da due vecchie indagini. La prima, tra settembre 2012 e ottobre 2013, che puntava a scovare l’allora latitante Giuseppe Pesce, considerato il vero padrone del clan dopo la cattura, il 9 agosto 2011, del fratello maggiore Francesco. La seconda inchiesta, condotta tra gennaio e giugno 2014, nei confronti di Umberto Bellocco, suocero di Giuseppe Pesce e di altri appartenenti del clan, di cui l’anziano boss è il fondatore. Nel corso della prima indagine erano stati fermati la moglie ed un uomo di fiducia di Giuseppe Pesce. Provvedimenti che avevano indotto il latitante a costituirsi, il 15 maggio 2013, ai carabinieri di Rosarno. I militari hanno accertato che Pesce aveva potuto contare su un bunker realizzato, secondo l’accusa, da 5 degli arrestati, e del tutto simile a quello in cui era stato catturato il fratello Francesco.
La seconda indagine si è concentrata invece sugli equilibri all’interno del clan dopo la scarcerazione del boss Umberto Bellocco che stava cercando di riassumere il comando. Sono stati anche documentati gli interessi nel traffico di droga, nel cui ambito si sono inserite le indagini del Goa della Guardia di finanza, che vedono coinvolto il nipote di Bellocco, Umberto Emanuele Oliveri, prescelto dallo zio come referente della cosca per la gestione della droga che passava dal porto di Gioia Tauro.
Nell’ambito dell’inchiesta sono state sequestrate 2 auto, diverse attività commerciali, un’abitazione e rapporti bancari, postali e assicurativi per un valore stimato di un milione di euro. L’operazione Sant’Anna è stata possibile grazie alla collaborazione di Giuseppina Pesce, un’altra donna che ha deciso di schierarsi contro i suoi stessi familiari. Così come ha fatto Giuseppina Multari, la ragazza resa in schiavitù dai suoi parenti. Le sue parole, pochi giorni fa, hanno portato all’arresto di 16 presunti appartenenti al clan Cacciola di Rosarno. Una scelta identica a quella di Maria Concetta Cacciola, che alla fine si suicidò con l’acido muriatico.