Così Cristina Obber, autrice tra l’altro di Non lo faccio più, per fare pressione in vista del processo e sensibilizzare l’opinione pubblica non tanto e solo sui fatti, ma sul tema del linguaggio e delle giustificazioni fornite fin qui nella sentenza. Margherita Giancotti, psicologa clinico-forense, così scrive commentando il dispositivo: la United Nations Guidelines on Justice in Matters Involving Child Victim and Witness of Crime (2009) sottolinea come uno dei diritti fondamentali del minore vittima sia il diritto alla riparazione. Claudio Foti (2004) sottolinea come “la riparazione s’accompagna alla necessità di un riconoscimento sociale e anche, se possibile, giudiziario dell’accaduto”.
Il bambino vede riconosciuto il suo status di vittima e questa consapevolezza pone le basi per il difficile lavoro emotivo e psicologico di superamento del trauma. Dov’è finito il diritto alla riparazione di questa bambina che vedrà scritto sulla sentenza che in qualche modo è stata compartecipe del tremendo abuso subito? Dove hanno mancato gli adulti incaricati a proteggerla? Cristina Obber nella lettera inviata alla Presidente della Camera Boldrini, nella quale informa di essersi rivolta al Ministero della Giustizia e all’Associazione Magistrati, scrive: “La petizione chiede rispetto per la dignità dei bambini e delle bambine, linguaggi adeguati che non infliggano loro ulteriori violenze. Probabilmente se un ragazzino a scuola scrivesse ‘relazione amorosa’ in un tema sulla pedofilia i genitori verrebbero convocati d’urgenza e il tema stracciato. Possibile che invece nei nostri tribunali si scrivano e trascrivano atti con un linguaggio così lesivo e paradossale? E’ una domanda terribile, che chiede una risposta”.