E sono 90. Il genetliaco di Piero Ottone, storico direttore del Corriere della Sera, è stato festeggiato prima in pubblica piazza, quella di Santa Margherita Ligure, sotto il patrocinio di Fiorella Minervino, critica d’arte. E poi in forma privatissima con trofie al pesto e vitel toné in villa con vista spalancata sul golfo di Paraggi. Il Gran Vecchio si mantiene benissimo, legge e scrive con mente lucidissima e dà giudizi taglienti come lame di rasoio. Ma su Renzi e Grillo neanche una parola. Renzo Cianfanelli, già corrispondente di guerra del Corriere, ora consulente alle Nazioni Unite di New York, in partenza per l’Uganda, concorda con Ottone nel considerare sempre più utopica l’Unione Europea. L’integrazione con moneta unica non è mai stata un’operazione a pilota automatico. Quando poi gli si fanno domande sulla politica italiana il bastone di Piero Ottone allora diventa una clave. Ce n’è per tutti.
E ha straragione pure lo scrittore Erri De Luca con il quale condivido la napoletanità di un Sud allo sbando: “Lo Stato spettrale incatena i suoi monumenti fantasma. Ci dovrebbero espropriare”. Vai al mio blog “Napoli, visitare i monumenti diventa un’impresa”. Cancelli sbarrati ai nostri gioielli più belli della classicità (dal tempio di Minerva alla grotta della Sibilla Cumana). Non ce li meritiamo diamoli in gestione ai finlandesi”. E allora non ci resta che piangere o buttarsi sulle isole.
Capri è snob, Ischia fa nouveau riche (anche se ci va la Merkel), Procida mantiene in gran parte il suo carattere di isola di pescatori. Gente verace gelosa di una privacy sui generis che si è aperta alla curiosità di grandi intellettuali e di uomini di cultura meno noti, ma ugualmente affascinati dall’aura incantata dell’isola, sospesa in una dimensione senza tempo. Immersa nei suoi oleandri bianchi e rosa. Gli antichi palazzetti nascondono deliziosi giardini di agrumi affacciati sul mare. Un grappolo di case di pescatori della Corricella, arrampicate come gechi nei colori pastello si mimetizzano tra oleandri e limoneti. Già nell’800 il poeta francese La Martine ne subì il fascino e la sua ‘Graziella‘ divenne testimonianza della grazia e del fascino delle giovani isolane. Poi venne Elsa Morante, che qui ambientò ‘L’Isola di Arturo’, un’esaltazione della forza magica e antica del pescatore. Massimo Troisi ci ha girato ‘Il postino’ dove i protagonisti sembrano rappresentare le due anime dell’isola: il poeta approdato da lontano e il giovane isolano ben radicato sul posto.
“Ho la malattia dello scoglio. Non lascerei la mia isola per nessuna donna al mondo. La mia fidanzata è pugliese, è laureata in scienza dell’Educazione e della Formazione. Chi mi ama mi segue. Ma visto che il posto fisso non esiste neanche in amore…” dice Giorgio Scotto, professione tassista (numero di licenza 25 e non ce sono molti di più sull’isola).
L’isola è dominata dal grande castello dei principi Davalos trasformato a fine ‘800 in una prigione. Celle scavate nella roccia che fanno pensare a prigionieri usciti dalla trama del conte di Montecristo. Venticinque anni fa partì l’ultimo detenuto. Dopo le solite lungaggini burocratiche sembra che, finalmente, la sua nuova destinazione sia un resort di lusso. Speriamo che il turismo dal denaro facile non la snaturi, non le corrompa l’anima. Cloni di Flavio Briatore per favore rimanete alla larga.
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