C’è un asso pigliatutto nella finanza italiana. Il suo nome è Benetton. Dopo aver chiuso con l’intesa del governo francese sulla controllata Ecomouv, la famiglia di Ponzano Veneto ha incassato 42,8 milioni di euro in dividendi staccati dalla holding Edizione grazie alla cessione dei titoli Rcs e Brunello Cucinelli. Ma il pezzo forte per il futuro industriale dei Benetton sta arrivando ed è legato a doppio filo alle sorti dell’Alitalia. Le nozze con Etihad, infatti, per i Benetton aprono la prospettiva di nuovi investimenti in Aeroporti di Roma, società controllata da Atlantia il cui 45,56% fa a sua volta capo a Sinergia, che sta sotto la cassaforte della famiglia veneta.
Certo, i Benetton, che hanno investito in Cai nel 2008, saranno chiamati a metter mano al portafoglio per una nuova ricapitalizzazione: complessivamente hanno bruciato nella “fornace” Alitalia 140 milioni, cifra alla quale vanno aggiunti i 90 milioni che dovranno sborsare nell’abito dell’operazione Etihad. Ma come ha lasciato intendere l’amministratore delegato di Atlantia, Giovanni Castellucci, nell’ultima assemblea dei soci, si tratta di poca cosa rispetto alle prospettive di Adr. “La situazione Alitalia – ammetteva Castellucci – ha fatto registrare nel 2013 un -1,1% complessivo, di cui la componente extra Ue è +3,3%, quindi abbastanza allineata all’andamento complessivo. Ma il tema Alitalia non si può esaurire in una percentuale. Alitalia – e di riflesso anche Aeroporti di Roma – è in un momento di svolta strategica che si auspica possa essere di supporto e beneficio per tutto il sistema Paese”.
L’intesa con gli arabi porta infatti in dote l’ampliamento dello scalo di Fiumicino, per il quale La Repubblica il 16 giugno scorso già ipotizzava l’ingresso in scena di uno dei dieci fondi sovrani di Abu Dhabi con la cessione “riservata” di circa il 20% di Adr in mano ad Atlantia. Con il risultato che nelle casse della società che gestisce gli scali capitolini sarebbero arrivati circa 700 milioni di euro di capitali freschi. Una cifra basata su un valore di Adr stimato fra i 3,5 e i 3,9 miliardi e che avrebbe consentito al gruppo di rilanciare il piano di investimenti al 2044 da 12 miliardi per il quale la società a fine 2012 ha incassato dal governo Monti l’aumento delle tariffe aeroportuali.
“In merito all’ipotesi di apertura a capitali privati – ha proseguito Castellucci in assemblea rispondendo a richieste di chiarimento dei soci – l’interesse è quello di fare di Aeroporti di Roma una piattaforma per la crescita globale: diventare operatori di riferimento a livello mondiale senza essere aperti a partnership, integrazioni, fusioni ovvero a far entrare nuovo capitale sarebbe forse anacronistico (…). Il gruppo non ha necessità di risorse per effettuare il piano di investimenti di Aeroporti di Roma, ma se vuole crescere a livello globale deve essere pronto se necessario a operazioni che facciano entrare altri partner nel capitale”.
Detta in altri termini, Adr e quindi la sua controllante Atlantia, forti del rinnovo della concessione per gli scali al 2044, sono pronte a fare un salto dimensionale. Che però non è facilmente immaginabile senza una compagnia di bandiera forte che sviluppi traffico su Roma come hub europeo. Ecco perché l’ad di Alitalia, Gabriele Del Torchio, si era spinto fino a ipotizzare che parte degli esuberi dell’ex monopolista di Stato possano essere assorbiti da Adr. Ipotesi però immediatamente smentita dalla società dei Benetton pur ribadendo l’impegno a portare avanti il piano di investimenti per Fiumicino.