Cultura

Canzoni estate 2014, “consigli per gli ascolti”: playlist dei Sud Sound System

MUSICA D'ESTATE - Ogni settimana una colonna sonora scelta da band e cantautori indipendenti: questo sabato è la volta dei Sud Sound System che nel loro ultimo lavoro, "Sta tornu", contaminano i ritmi dancehall con influenze hip hop, dubstep, funk e rhythm & blues

Ambasciatori del reggae in Italia, i Sud Sound System hanno da poco pubblicato il loro ultimo lavoro, “Sta tornu“, a quattro anni di distanza dal precedente: “Abbiamo tenuto quasi sempre una ‘cadenza biennale’ ma questa volta si è reso necessario aspettare un po’ di più, per cercare di rispondere a una situazione che non avevamo mai incontrato prima – ha detto Nandu Popu, voce storica della band a Ilfattoquotidiano.it – La crisi economica, politica e sociale dei nostri giorni non ha precedenti e bisognava dare risposte coerenti”. In questo disco i ritmi dancehall sono contaminati da influenze hip hop, dubstep, funk e rhythm & blues e molti sono i musicisti che hanno collaborato con la band salentina (il singjay Capleton e i giovani talenti di Kingstone Leftside aka Dr Evil e Alozade ma anche una selezione dei migliori artisti pugliesi, come Cesare Dell’Anna, Luca Manno, Raffaele Casarano, Gabriele Blandini o il compositore Diego Rizzo).

Lee Scratch Perry – Soul Fire
Toots and the Maytals – Funky Kingston

Bob Marley – War

The Skatalites – Guns of Navarone

Glen Brown and King Tubby – Termination Dub

Dennis Brown – West Bound Train

Sud Sound System – Man in pasta
Sud Sound System – Fumo nell’anima
Tarrus Riley – Shaka Zulu Pickney

Beres Hammond – Last War

Come avete scelto i brani della playlist per i lettori de Ilfattoquotidiano.it?
E’ una playlist “strictly reggae”, che dedichiamo ai bambini palestinesi.

Sta tornu“: perché questo titolo?
Perché il Sud Sound System sta tornando, dopo quattro anni. Con questo album volevamo trasmettere qualcosa di nuovo e duraturo, al di fuori dei soliti schemi o slogan. È servito, quindi, aspettare, perché “Sta Tornu” non è solo il nostro ritorno: è quello di molti ragazzi che si stanno inventando nuovi percorsi ed è anche quello del sud Italia, stanco di dover essere a tutti i costi una colonia interna al Paese. Ci stiamo risvegliando e le nuove generazioni hanno finalmente capito che, per costruirsi una nuova esistenza, devono contare sulle proprie energie e non sullo Stato. Noi vogliamo incoraggiare proprio questi sforzi.

Molti giovani, oggi, se ne vanno dall’Italia per provare ad inventarsi un futuro: andar via è l’unica soluzione, secondo voi?
Simu Salentini, dellu munnu cittadini“: significa che siamo cittadini del mondo e i confini non devono ostruire la nostra vita. Chi non ha la possibilità di realizzarsi nella propria terra non deve crogiolarsi nei rimpianti o nelle ideologie. Viviamo al Sud e abbiamo visto ragazzi emigrare da manovali per poi tornare da imprenditori: è uno dei tanti percorsi che auguriamo a chi ha energie e idee. Discorso inverso, invece, per coloro che hanno la possibilità di investire denaro qui: in questo caso bisogna restare, per amore e per le opportunità che il Sud può offrire. E’ una parte d’Italia denudata e depauperata ma sempre pronta a offrirsi alle start-up: si può ripartire coniugando l’agricoltura con il mare e i porti, che sono le nostre vere ricchezze e che, oggi più che mai, possono dare un impulso enorme alla produzione di prodotti agro alimentari e ittici di qualità, al loro commercio e al loro indotto.

C’è un brano dell’album, “Fumo nell’anima“, che rimanda all’Ilva e la collega a un discorso più ampio…
Non è solo il fumo degli altiforni a uccidere ma anche quello portato dall’ignoranza. Taranto, che oggi è diventata sinonimo di morte e distruzione, è stata una delle capitali della Magna Grecia e dal suo porto sono uscite navi cariche di merci e conoscenze: portarci le acciaierie è stato come bruciare la biblioteca di Alessandria. Quando accennate ai Greci, a Pitagora, Archimede e alla loro cultura dovreste pensare a città come questa. Già negli anni ’70, Walter Tobagi si accorse di ciò che stava accadendo e definì i tarantini con un neologismo: “metal mezzadri”. Significava che non eravamo né carne e né pesce. Non eravamo più nulla: avevamo perso la nostra identità. A Taranto non sono solo i tumori ad uccidere ma anche la distruzione della nostra cultura millenaria, annullata per fomentare quell’ignoranza che genera servi adatti al ricatto occupazionale.

La musica può ancora essere una leva per provare a innescare consapevolezza e voglia di cambiamento, soprattutto nei giovani?
La musica è utile quando spiega la vita e quando è capace di ‘risvegliarla’. Le parole inducono a riflettere mentre il ritmo si prende cura del corpo e delle sue ferite. Lo hanno spiegato Ernesto De Martino, George Lapassade e Piero Fumarola: i giovani di oggi non sono diversi dai loro avi, che si dedicarono alla danza per curarsi e per curare. Noi continuiamo questa scuola con l’aggiunta del reggae, la musica che amiamo.

Com’è cambiata la scena musicale del Sud dall’uscita del vostro primo album?
Quando abbiamo iniziato a suonare c’era ancora il vinile e non esistevano i talent show: esistevano i talent scout, che giravano tutti i luoghi dove si tenevano i live, dai grandi festival alle cantine dei centri sociali. Erano persone che amavano la musica, la conoscevano e sapevano di che pasta erano fatti gli artisti. Erano capaci di scegliere nel mucchio, di formare e motivare i ragazzi che avevano talento, era questo il ruolo del “produttore”. Certo, c’erano anche gli speculatori e i perditempo, ma a vincere era il contatto umano. Oggi, invece, imperversano i reality show, con il pubblico che vota comodamente da casa, inviando sms a uno studio televisivo. Non sarebbe meglio tornare a fare musica nelle piazze, indicando il proprio gradimento con un applauso?

Il live è una parte molto importante della vostra carriera, che rapporto avete col pubblico e come è cambiato nel corso degli anni?
Il live è catarsi. Il live è sudore. Il live è vero amore con il nostro pubblico, con il quale viviamo una storia lunga quasi venticinque anni. Il live è anche realtà e cultura, perché non puoi nascondere nulla e devi restituire ciò che la gente si aspetta da te. Da quando abbiamo iniziato a oggi non è cambiato molto: forse gli anni ci hanno regalato qualche capello bianco e un po’ di esperienza in più. Le nuove generazioni non smettono mai di stupirci e, forse, la cosa più bella da segnalare è che molti dei nostri nuovi fan sono figli di nostri coetanei, di chi ha iniziato questa storia insieme a noi.