Mi telefona l’amico Enrico Minoli e mi chiede: “Vuoi dare una mano a una ragazza di 22 anni il cui sogno è quello di fare la giornalista…”. Trasecolo pensavo che quelli che aspirano a questa professione fossero ormai una specie in via d’estinzione. Impiegati di serie b, nel migliore dei casi. Nessuno assume più nessuno, fra contratti di solidarietà, scivoli sociali e prepensionamenti, nelle redazioni sono rimasti quattro gatti che si guardano in cagnesco fra di loro: “Oggi la lettera di licenziamento è toccata al collega, domani sarà il mio turno….”.

Parlo con MariaStella Rossi, fresca di laurea in Scienze Politiche delle Relazioni Internazionali. Lei almeno molto, molto part time collabora alla Web-Tv della Federico II. Mentre i suoi colleghi laureandi in Scienze della Comunicazione sono i disoccupati cronici di una facoltà che prometteva futuri lastricati di stage e di assunzioni. Chiedo a MariaStella di tracciarmi un loro identikit.

Ecco il suo resoconto.

Solchi da occhiaie di notti insonni, scapigliato, mani tremolanti, respiro affannoso, labbra screpolate e secche (per le tante telefonate da questuanti cerca/lavoro). No, non è la trama di “Notte prima degli esami” sto parlando di una specie a rischio, una razza da dover tutelare e proteggere come il panda: lo studente universitario. Eppure nella vita di uno studente non esistono solo ansie, esami, ore d’attesa per essere ricevuti dal docente di turno, libri costosissimi e il più delle volte inutili, ma da acquistare obbligatoriamente perché “l’ha scritto il mio professore, se non lo porto in seduta d’esame,  rischio la bocciatura”. 

No, il precario studente universitario non è solo questo. Chi va all’università è anche un aspirante lavoratore, una persona che vuole inserirsi in un mondo per lui nuovo, affascinante e respingente allo stesso tempo, e fare ufficialmente il suo debutto nella società adulta. Già, perché per noi studenti  il patentino di maturità arriva quando qualcuno ci assume anche per il più umile dei lavoretti, ma che ci permetta di mantenerci quel tanto che basta per non gravare troppo sui nostri genitori. 

Ma siamo nel 2014, in piena crisi economica, uomini e donne passano dal mondo dell’occupazione a quello della disoccupazione ogni 2.5 secondi e noi ragazzetti di vent’anni cos’è che pretendiamo? Semplicemente un lavoro, di un qualsiasi tipo. Ci hanno definito “choosy”, sfaticati, con la voglia di non fare niente e noi cos’è che chiediamo? Fiducia e un futuro rassicurante. Sì, effettivamente vista così mi viene da dire che siamo un pelino pretenziosi. 

Anche per un lavoretto stagionale, tra gli inizi di luglio e la fine di settembre, le cose vanno come la marea, alti e bassi.

La trafila inoltre è abbastanza travagliata: si finiscono gli esami, si chiudono (o si bruciano, a seconda dell’umore) i libri e si va alla ricerca di un lavoro qualsiasi. Studio medicina e chirurgia? Eccomi, sono pronto a sezionare arance e ananas da mettere sui bordi dei bicchieri da cocktail! Sono uno studente di psicologia? Wow, ragazzi, non so shakerare solo cervelli, ma anche Martini! Ho il master in Scienze della Comunicazione e sono più bravo di Karl Popper a comunicare il menù del giorno.

Visto che noi studenti non possiamo studiare e lavorare contemporaneamente, ecco che il lavoretto estivo diventa davvero essenziale. Noi rinunciamo pure alle ferie ma, per favore, voi adulti cambiate ritornello: “Guarda, facciamo così. Io non ti pago, ma in cambio ti do esperienza…”. Visto che siamo un paese per vecchi, pardon, per ventenni che sono visti più come carne da macello che come individui.

Io invece sono dell’avviso che è il presente quello che conta e quando nel tuo presente non puoi arrivare a sentirti pienamente soddisfatto di te stesso nemmeno per due mesi l’anno, a fare qualcosa di diverso dallo studiare e dare esami, a sentirti adulto, allora di conseguenza la frustrazione che provi adesso arriverai a provarla anche domani, quando finiti gli studi ti guarderai attorno e ti chiederai “anche con una laurea mi diranno che non potranno pagarmi, ma che potrò mettere la pagnotta in tavola grazie a tanta esperienza da inserire nel curriculum…”.

Allora farò come quel mio amico che il curriculum lo manda già accartocciato, una palla di carta, già pronto per il lancio nel cestino. 

Buon blu a chi se lo può permettere. 

MariaStella Rossi.

Twitter: @piromallo

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