La responsabile regionale Carla Di Francesco è coinvolta in prima persona nella vicenda dei 400mila euro di fondi pubblici per il restauro della cattedrale, assegnati tutti a un'unica ditta senza gara. Lei stessa dice: "Altrimenti si correva il rischio di interrompere i lavori e avere i ponteggi per chissà quanto"
“Se la direttrice regionale per i beni culturali dell’Emilia Romagna dichiara di non ritenersi vincolata dalla legge sui pubblici appalti, il ministro Franceschini la deve sollevare dal suo incarico”. L’associazione Italia Nostra di Modena e la senatrice Michela Montevecchi del Movimento 5 Stelle rivolgono un urgente appello al titolare del dicastero dei Beni Culturali in merito al comportamento della plurititolata dottoressa Carla Di Francesco, direttrice dei beni culturali dell’Emilia Romagna, coinvolta in prima persona nella vicenda dei 400mila euro di fondi pubblici per il restauro del Duomo di Modena assegnati senza gara d’appalto alla stessa ditta restauratrice di Castelfranco Emilia (Modena).
La dirigente ha recentemente ammesso di aver “forzato la legge” concedendo alla Candini Arte la possibilità di lavorare al restauro su quattro lotti da 100mila euro l’uno senza aver partecipato al regolare bando di gara. “L’ho fatto perché altrimenti si correva il rischio di interrompere i lavori e avere i ponteggi sul Duomo per chissà quanto”, ha dichiarato alla stampa Di Francesco, che ilfattoquotidiano.it ha più volte cercato di contattare senza ricevere risposta. La vicenda aveva fatto scattare nella primavera scorsa un’indagine da parte della Ragioneria generale dello Stato, per conto del Ministero del Tesoro, che aveva contestato – fra almeno altre tre “criticità” nell’operato della direttrice – i quattro appalti diretti senza gara alla Candini Arte per la ristrutturazione del Duomo.
Claudio Candini e la sua srl avevano lavorato al restauro della cattedrale modenese per la prima volta nel 2006 dopo aver vinto una gara pubblica da 130mila euro del ministero dei beni culturali. Restauro urgente visto che erano caduti pezzi dalla facciata e dal rosone. Nel 2008, appena insediata alla carica regionale – direttamente dipendente dal ministero dei Beni Culturali – l’architetto Di Francesco scopre il buon lavoro di Candini Arte srl e gli riassegna un primo appalto che non prevede obbligo di gara grazie ai fondi di un appaltante privato come la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena che li mette a disposizione della struttura arcivescovile del Capitolo Metropolitano, la quale, come ricorda la Di Francesco “aveva fiducia in quella ditta”.
Dal restauro sul lato del Duomo di via Lanfranco inizia il lavoro della ditta Candini sullo storico monumento modenese che da lì in avanti riceve, questa volta senza seguire le regolari gare d’appalto altri quattro lotti da 100mila euro l’uno. Mentre per il restauro della Ghirlandina dove c’è stata un’unica gara d’appalto e i fondi a disposizione erano unitari, per il duomo arrivano suddivisi in differenti tranche. Per questo la Di Francesco forza volontariamente la legge, per mantenere “continuità” nel lavoro e “incastrare un cantiere dentro l’altro”. “E’ la prima volta che lo faccio in oltre trent’anni di carriera – ha dichiarato alla Gazzetta di Modena – ma il Capitolo Metropolitano ci chiedeva di fare bene e in fretta e così abbiamo fatto. Quindi lo ammetto, sui 4 lotti da circa 100mila euro l’uno c’è stata una forzatura della legge”.
Le parole della dirigente regionale provocano l’appello di Italia Nostra e un’interrogazione della senatrice Montevecchi: “Noi rispettiamo le istituzioni e dichiarazioni come quella della Di Francesco, dove dichiara esplicitamente di non aver rispettato appieno la legge, sono incompatibili con il ruolo di chi le rappresenta”. L’ultimo capitolo alla complicata vicenda modenese la mette però direttamente il ministro Franceschini che, contattato da ilfattoquotidiano.it, si limita a dire: “Sul restauro del Duomo di Modena no comment”.