La Siae ha deciso di non voler più perdere tempo con persone che non sono né interlocutori istituzionali né esperti di settore, tantomeno giornalisti, ma solo avvocati o ingegneri che cercano visibilità e clienti. Certamente non sono né dalla parte degli autori né da quella dei consumatori ma, legittimamente, hanno scelto di difendere gli interessi delle multinazionali, oltre che i propri.

E’ questa la “risposta” della Siae alla mia lettera aperta al Suo Presidente, Gino Paoli con la quale lo invitavo ad un sussulto di orgoglio che valesse a scongiurare il rischio che si ritrovasse ad interpretare il “Canto del cigno” della gloriosa Società che fu di Verdi e Carducci e che oggi sembra precipitata in una crisi di valori ed economica senza precedenti dalla quale è difficile immaginare si rialzi.

E’ una “non risposta”, stonata – un’autentica “stecca” per un cantautore del talento di Paoli – arrogante e scomposta. Ed è una comunicazione che fa il paio con quella che il Direttore Generale della Società, ha trasmesso, nei giorni scorsi, al Direttore di Dday, una delle testate online che più ha seguito la brutta vicenda della “copia privata”. Parole, contenuto, significato e registro stilistico sono identici ed il messaggio è forte e chiaro: la Siae ha deciso di non “perdere più tempo” a confrontarsi con chi, sulla questione, non la vede come lei.

Una decisione assolutamente legittima: chiedere è lecito, rispondere e cortesia.

Guai però a dimenticarsi che a scrivere di non voler perdere altro tempo è un ente pubblico economico – e non una società per azioni – al quale lo Stato attribuisce una serie di funzioni pubblicistiche di straordinaria centralità nella promozione e tutela della cultura italiana. E guai anche a dimenticarsi che la “perdita di tempo” cui si riferisce Siae sarebbe rappresentata dalle spiegazioni che giornalisti e addetti ai lavori le chiedono circa tempi e modalità di gestione di un fiume di denaro, da oltre 150 milioni di euro l’anno, che il nuovo decreto Franceschini sulla copia privata, le consentirà di incassare e le imporrebbe di ripartire poi, nel minor tempo e nel modo più puntuale possibile.

Si tratta – tanto per rendere l’idea – delle risposte a domande come queste: quanto tratterrà per sé – a titolo di “rimborso costi di gestione” la Siae sulla montagna di denaro che incasserà? Chi decide a quanto, ogni anno, debbano ammontare tali costi? Come viene ripartito tra gli associati l’incasso da “compenso per copia privata”? Quanto di questo incasso, negli ultimi anni, è andato ad autori under 30? Quanto ci mette la Siae a ripartire tra gli aventi diritto quello che incassa a titolo di compenso per copia privata [ndr la domanda nasce dal fatto che dalla relazione sulla trasparenza della società, emerge che la Siae, al 31 dicembre 2013, aveva in cassa oltre 151 milioni di euro incassati a titolo di compenso per copia privata e non ancora ripartiti]? Quanto guadagnerà la Siae a titolo di proventi finanziari sulle somme incassate, grazie al ritmo pachidermico con le quali le ripartisce?

Sono domande che si erano poste, anche da queste stesse pagine, direttamente alla Siae ed alle quali – per la verità con uno stile completamente diverso rispetto a quello che ispira le ultime lettere – aveva dato una lunga serie di risposte – sebbene lacunose, reticenti ed imprecise – l’avv. Domenico Luca Scordino, Consigliere di gestione della Società.

Guai, però, a voler dare lezioni di stile a chicchessia e, soprattutto, ad un manager di lungo corso come Gaetano Blandini, Direttore Generale della Siae, con uno stipendio da circa 500 mila euro all’anno che, evidentemente, non basta più a pagargli il tempo che deve “perdere” per rispondere a chi vorrebbe capire e far capire.

Libero, naturalmente, il Direttore Generale della Siae di gestire il suo tempo come vuole, ma – i soldi ed il potere di cui dispone – non consentono né a Lui, né a chi per Lui, di offendere il prossimo, come, invece, accaduto nella lettera a questo giornale. Secondo Siae – che pure si guarda bene dal fare il mio nome – confrontarsi con me, sarebbe una perdita di tempo perché, non sarei né “un esperto del settore”, né un “giornalista”.

Credo che essere un cittadino italiano, sia abbastanza per aver diritto di sapere come un ente pubblico economico gestisce centinaia di milioni di euro in forza di una serie di leggi dello Stato ma, in ogni caso, forse, dopo oltre 20 anni spesi – prima a studiare – e poi ad insegnare e scrivere di diritto d’autore, un po’ “esperto del settore” – beninteso mai quanto il Direttore Generale della Siae che nella vita ha avuto la fortuna di occuparsi della materia in modo pressoché esclusivo – lo sono anche io.

Ma, esperto o non esperto in Siae, nessuno – incluso il Dg Blandini – può dire che io non sia giornalista, giacché sono regolarmente iscritto al relativo ordine, nell’albo dei pubblicisti.

Ma non basta.

E’ offensiva, diffamatoria, ingiustificabile l’affermazione contenuta nella lettera della Siae, nella quale si scrive che saremmo solo “avvocati ed ingegneri [n.d.r. il riferimento agli “ingegneri” è, evidentemente, a Gianfranco Giardina, Direttore di Dday] in cerca di visibilità e clienti” e che non saremmo “né dalla parte degli autori né da quella dei consumatori ma, legittimamente avremmo scelto di difendere gli interessi delle multinazionali, oltre che i propri”.

Onestamente mi sono sempre sentito anche dalla parte degli autori, convinto come sono che se il sistema della gestione dei diritti funzionasse in modo efficiente sarebbero i primi a guadagnarne, ma certamente non si può dire né che non sono dalla parte dei “consumatori” che – come è noto [ndr avendone sempre fatto oggetto di apposite “note di trasparenza” in calce ai miei post sul tema] – rappresenterò in giudizio contro il decreto Franceschini sulla copia privata, né che “difenda…gli interessi delle multinazionali”, giacché non ho mai assistito nessuna multinazionale dell’elettronica di consumo.

Va bene, quindi, scrivere che non si vuol più perdere tempo a rispondere ad altrui legittime domande sulla gestione di un fiume di denaro incassato grazie a leggi dello Stato ma per farlo non serve e non è ammissibile offendere il prossimo, imputandogli fatti non veri.

Due righe di scuse sarebbero gradite, sempre che non le si ritengano un’ulteriore perdita di tempo.

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Riceviamo e pubblichiamo la risposta del Direttore generale della Siae, Gaetano Blandini 
Stia sereno
Gentile Docente, Avvocato e Giornalista,
La Siae nella sua nota non si riferisce a Lei né a Giardina, né esplicitamente né implicitamente .
Non siete infatti gli unici ingegneri  e avvocati a occuparsi di copia privata.Ve ne sono, purtroppo molti altri, che come voi legittimamente la pensano “diversamente”. E le opinioni, come mi ha insegnato l’amico Scordino, sono libere. 
Come si è, vivaddio, liberi di rispondere o non rispondere, soprattutto quando si ritiene che vengano accreditati come fatti (quelli sono sacri) delle libere, ma molto libere e personalissime opinioni. Personalmente, quando ho ritenuto di farlo ho scritto direttamente una mail privata che Giardina ha ritenuto di rendere pubblica.
Del resto sono proprio moltissimi dei nostri Associati, che sono quelli che mi pagano lo stipendio, perché Siae opera, dice la legge, con le norme del diritto privato ed e’ completamente al di fuori del perimetro della finanza pubblica che mi chiedono di dedicare più tempo alla tutela dei loro diritti.
Lei, peraltro, con grande garbo, riferendosi invece esplicitamente a me e al Maestro Paoli, ci ha definito “furbetti del quartierino” e non le abbiamo chiesto le scuse, né le abbiamo dato del maleducato. 
Non le abbiamo proprio risposto, punto e basta. 
Se questo la fa irritare mi dispiace.
La prego però non si sopravvaluti e non pecchi di arroganza; rispetto alla sua buona educazione si faranno certamente la propria opinione i suoi lettori.
Come vede ho volentieri “perso tempo” per risponderle, sottraendolo alle vacanze e non alle Siae. 
Stia sereno e faccia ottime vacanze. 
Gaetano Blandini
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