Probabilmente molti di voi conoscono già Roars, sito dedicato all’università italiana e soprattutto ai suoi problemi. Ci scrive spesso il “vicino di blog” Francesco Sylos Labini con le sue analisi accurate e molto sincere. Roars pubblica articoli frequenti e lunghi per cui non è facile seguire tutto ciò che vi compare perciò vorrei attirare la vostra attenzione su un piccolo sottoinsieme che mi ha particolarmente colpito.
Un contributo appena apparso è una testimonianza diretta, da un’area lontana dalla mia, di un fenomeno che conosco bene: la qualità dei nostri ricercatori e la loro diaspora. A proposito della qualità della ricerca italiana, ecco un articolo piuttosto tecnico con note confortanti e non. Le note confortanti sono due rapporti: (numero di articoli)/(numero di ricercatori) e (numero di citazioni)/(numero di ricercatori); confermano che i ricercatori italiani sono fra i più produttivi al mondo. A deprimermi ci pensano i numeri assoluti, partendo dal numero di ricercatori confrontato col resto del mondo.
Questo pezzo, invece, solleva il problema della interdisciplinarità sbandierata sui mezzi di comunicazione e repressa nei concorsi (tema che mi è molto caro e che mi ha fatto entrare qui col mio primo post). È purtroppo vero che in ambito interdisciplinare si riescono più facilmente a far passare delle boiate, dato che è più difficile per i “referee” controllare la correttezza tecnica delle ricerche presentate. Questo non giustifica i singoli settori scientifico-disciplinari a chiudersi in se stessi, o almeno, se questa è la politica che si è (anacronisticamente) determinati a perseguire, almeno si abbia la coerenza di dichiararlo apertamente!
Soprattutto vi consiglio questo meraviglioso articolo di Carlo Rovelli che vorrei tanto aver scritto io! Sostiene con eleganza un principio a cui credo fermamente: un buon ricercatore basa il suo lavoro su una cultura a tutto tondo; minando questa, si condanna la ricerca alla rovina.