"Migliaia di afgani sono stati uccisi o feriti dall'esercito statunitense dall'inizio dell'invasione, ma le vittime e le loro famiglie hanno poche possibilità di avere un risarcimento. Il sistema della giustizia militare - Richard Bennett, direttore della ong per l’Asia Pacifico - quasi sempre fallisce nel ritenere i suoi soldati responsabili per uccisioni illegittime e altri abusi"
“Nessuna giustizia per migliaia di civili uccisi nelle operazioni di Usa e Nato” in Afghanistan. È Amnesty international che con il rapporto “Left in the dark” punta il dito contro militari americani e della Nato responsabili in oltre un decennio di conflitto con i talebani ed Al Qaeda della morte di innocenti senza che quasi siano stati processati e puniti.
“Sono stati esaminati numerosi casi di attacchi aerei e raid notturni – si legge nel report dell’organizzazione umanitaria che da decenni si batte per il rispetto della dignità e dei diritti della persona umana – Episodi di apparenti crimini di guerra non sono stati investigati e i responsabili sono rimasti impuniti”. Richard Bennett, direttore della ong per l’Asia Pacifico, ha sottolineato che “nessuno dei dieci casi specifici su cui ci siamo concentrati nel periodo 2009-2013 – e che hanno comportato la morte di 140 civili, fra cui donne incinte e 50 bambini – è stato oggetto di azione giudiziaria da parte della Procura militare americana”. Per Bennet: “Migliaia di afgani sono stati uccisi o feriti dall’esercito statunitense dall’inizio dell’invasione, ma le vittime e le loro famiglie hanno poche possibilità di avere un risarcimento. Il sistema della giustizia militare quasi sempre fallisce nel ritenere i suoi soldati responsabili per uccisioni illegittime e altri abusi”
In particolare in due dei casi studiati nelle province di Paktia e Wardak, si insiste nel rapporto, “sono emersi abbondanti e stringenti indizi di crimini di guerra, ma nessuno è stato incriminato penalmente per essi”. Fra le tante testimonianze spesso inedite offerte da Amnesty di torture e maltrattamenti vi è quella di Qandi Agha, un ex detenuto catturato alla fine del 2012 dalle Forze speciali Usa nel distretto di Nirkh della provincia di Maidan Wardak. “Quattro persone mi hanno picchiato con dei cavi – ha raccontato – e mi hanno poi legato le gambe e picchiato con un bastone di legno le piante dei piedi. Mi hanno quindi colpito al volto e preso a calci, sbattendomi anche la testa al suolo. Se questo non bastasse – ha aggiunto – mi hanno collocato in un recipiente pieno d’acqua propinandomi scosse elettriche“.
Agha ha sostenuto che alle torture erano presenti militari Usa e afghani, e che quattro delle otto persone prigioniere con lui sono morte in custodia di personale americano, compreso uno, Sayed Muhammed, che “ho visto morire personalmente”. Dopo la pubblicazione del documento un portavoce della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf) a Kabul ha confermato di esserne a conoscenza, aggiungendo che “una risposta verrà data dopo che sarà stato studiato. Il responsabile ha poi detto che “l’Isaf prende in considerazione seriamente tutte le denunce di vittime civili che vengono rigorosamente investigate e seguite da appropriate risposte”.
Ricevendo una delegazione di Amnesty guidata dal responsabile della Ricerca, Nicola Duckworth, il presidente Hamid Karzai ha elogiato “la caparbietà nel perseguimento della verità e della giustizia” ed ha ricordato che “il ripetersi di vittime civili è stato uno dei più importanti elementi di tensione fra l’Afghanistan e le forze della Coalizione internazionale”. Nell’ultimo rapporto della missione dell’Onu in Afghanistan (Unama) sulle vittime civili si segnala che nel primo semestre 2014 vi è stato un incremento del 17% sullo stesso periodo dell’anno scorso. Oltre 3/4 di esse sono attribuite alla violenza degli insorti che spesso mancano il bersaglio designato versando il sangue di uomini, donne e bambini incolpevoli. Tuttavia nei casi molto minori in cui sono coinvolti militari occidentali, avverte il rapporto, i portavoce Nato annunciano inchieste sugli incidenti di cui però poi non danno i risultati, “lasciando al buio vittime e loro familiari“.