Botta e risposta tra il premier italiano, Matteo Renzi e quello indiano Narendra Modi sul caso marò. Una soluzione “rapida e positiva” al lungo e complicato caso che vede al centro i due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. E’ questo l’auspicio espresso dal presidente del Consiglio al primo ministro indiano nel corso di una telefonata. Ma la mossa di Renzi – che avrebbe dovuto dare una scossa a una situazione che sembra immobile – non sembra aver sortito l’effetto voluto. Il capo del governo indiano ha chiesto infatti all’inquilino di palazzo Chigi di “permettere al processo di fare il suo corso”. Sottolineando che “il sistema giudiziario indiano è libero, giusto e indipendente e siamo convinti che decidendo sul caso ne prenderà in considerazione tutti gli aspetti”. Insomma, poche parole per mettere in chiaro che l’India non vuole subire pressioni dall’Italia.

A una settimana dalla visita a New Delhi del ministro della Difesa Roberta Pinotti, la seconda in soli cinque mesi, il governo continua il suo affondo diplomatico premendo sull’esecutivo indiano perché affronti la vicenda dei due militari italiani, bloccati in India dal febbraio del 2012 con l’accusa di aver ucciso due pescatori del Kerala. Già a inizio mese Renzi s’era detto “molto fiducioso nel nuovo governo indiano” e aveva espresso la speranza che l’esecutivo Modi “nelle prossime settimane” avesse “la possibilità di affrontare” la vicenda dei due marò” e di “recuperarla in una dimensione di collaborazione” sulla base “del diritto internazionale”.

Per la verità, durante la sua campagna elettorale, il premier indiano aveva assunto posizioni dure sui due fucilieri del San Marco. Ma, secondo molti analisti indiani, con il passare del tempo e con una vicenda che se mal gestita può arrecare danno all’immagine dell’India, potrebbe crearsi lo spazio per una soluzione diplomatica in cui nessuna delle due parti esca chiaramente sconfitta e che permetta di raggiungere l’obiettivo più importante: il ritorno in Italia di Latorre e Girone.

La scorsa settimana il ministro della Difesa aveva incontrato i due fucilieri per “manifestare loro la vicinanza del governo italiano” e “informarli personalmente su quello che si sta facendo e si farà” per risolvere la loro vicenda. In quell’occasione la Pinotti aveva ribadito la volontà dell’Italia di “aprire un canale importante di comunicazione” con il governo indiano. Sperando che il dialogo possa avere un esito diverso. E, secondo l’Italia, “il fatto che ci siano due governi nuovi può agevolare in questo senso”.

Passando al piano giudiziario, il caso di due militari italiani in questi giorni vive una fase di stallo. Anzi, sui due ricorsi alla Corte Suprema indiana non si prevedono novità per molte settimane. Anche il procedimento presso la Procura di Roma non è stato archiviato ma è fermo, sono le parole del procuratore capo Giuseppe Pignatone, “in attesa che l’autorità indiana dia corso alle commissioni rogatorie da tempo presentate, e già sollecitate”. E le due udienze di fine luglio nel tribunale speciale e nella Corte Suprema di New Delhi per il rinnovo delle garanzie bancarie a sostegno della libertà dietro cauzione dei marò si sono rivelate pura routine e non hanno modificato la situazione.

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