Uno degli aspetti che ci distingue nettamente dai nostri partner europei è l’assenza di prassi applicativa della normativa contro le discriminazioni sul luogo di lavoro. Oggetto di una direttiva europea in vigore sin dal 2000, tale normativa, che riguarda tra l’altro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale, è stata recepita dall’Italia con la consueta calma, senza farsi mancare strafalcioni e imperfezioni corrette solo dopo un ulteriore intervento europeo.
Insomma, il solito pasticcio all’italiana.
Il problema è molto semplice: se la normativa contro le discriminazioni non incentiva gli interessati a far valere i loro diritti, non funziona, e quindi le discriminazioni continuano a sussistere. Vale solo la pena di ricordare, a questo proposito, che secondo una ricerca condotta nel 2012 da alcuni studiosi della Bocconi sotto l’egida della Fondazione Rodolfo De Benedetti, i candidati con orientamento omosessuale patiscono il 30% in meno delle possibilità di trovare un impiego. Un terzo della popolazione LGBT italiana, insomma, paga pesantemente il fatto di essere gay o lesbica. L’inefficacia dell’attuale disciplina antidiscriminatoria si poneva appunto come ostacolo per superare questo problema, che impedisce a risorse buone del nostro Paese di farsi avanti nel mondo del lavoro.
Nei giorni scorsi, però, e precisamente il 6 agosto 2014, il giudice del lavoro del Tribunale di Bergamo ha finalmente affermato un principio di importanza fondamentale: il datore di lavoro che dichiaratamente rifiuta di assumere candidati omosessuali viola la legge, e può quindi essere sanzionato. E’ il caso, certamente clamoroso, dell’avvocato Carlo Taormina, che nel corso della puntata de La zanzara del 16 ottobre 2013 aveva espresso il proprio aperto disgusto per gli omosessuali.
“Lei, se uno è omosessuale, non lo assume nel suo studio?“, ha chiesto il conduttore. “Ah sicuramente no, sicuramente no.”, ha risposto l’avvocato, rincarando poi la dose: “Vabbè sarà anche discriminazione, a me non me ne frega niente“. Taormina si domanda perché dovrebbe assumere un avvocato gay nel suo studio: “Se è così bravo e così capace di fare l’avvocato, si apra un bello studio per conto suo. … Mi dispiace turberebbe l’ambiente, sarebbe una situazione di grande difficoltà“.
Affermazioni “meramente astratte e facete“, ha sostenuto in giudizio l’avvocato, coperte secondo lui dalla libertà di manifestare il proprio pensiero. Per il Tribunale, invece, si tratta di affermazioni che costituiscono una discriminazione diretta basata sull’orientamento sessuale e hanno come conseguenza proprio ciò che la legge vuole evitare e sanzionare, cioè una limitazione dell’accesso al lavoro a tutto svantaggio delle persone omosessuali.
Una vittoria per Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI, che ha promosso il ricorso contro l’avvocato Taormina per le sue affermazioni. Diecimila euro di risarcimento danni e la pubblicazione del provvedimento, queste le disposizioni dell’ordinanza del Tribunale bergamasco.
E’ l’affermazione che non tutte le opinioni personali sono legittime. Non quelle fatte da chi, anziché dotarsi di collaboratori validi e in gamba a prescindere dal loro orientamento sessuale, preferisce attingere a una parte della popolazione piuttosto che a un’altra. In un momento in cui il lavoro è prezioso, non possiamo più permetterci discriminazioni.
Non possiamo più permetterci di lasciare che il “fastidio” – come dice Taormina dei gay – la faccia da padrone. Anche gay e lesbiche hanno diritto di poter lavorare, esattamente al pari degli eterosessuali.