La linea "rottamatrice" del presidente Andrea Agnelli non è riuscita a bloccare la vittoria del numero uno della Lega Dilettanti. E così per il club torinese arriva il secondo ko politico negli ultimi 18 mesi, dopo la battaglia in Lega Calcio per la successione di Maurizio Beretta. Ad affiancare Agnelli, che ha lasciato l'assemblea elettiva subito dopo aver votato, solo 9 squadre di Serie A. Non sono mancati momenti di tensione con il presidente del Genoa Preziosi
C’è un grande sconfitto nella lunga estate che ha portato Carlo Tavecchio sulla poltrona più importante del calcio italiano. È Andrea Agnelli, la cui linea “rottamatrice” è stata schiacciata dall’asse Galliani-Lotito, main sponsor del nuovo presidente federale. Quello del numero uno bianconero è il secondo ko politico negli ultimi 18 mesi. Altrettanto pesante era stato il primo, avvenuto nella battaglia in Lega Calcio per la successione di Maurizio Beretta. Nel dicembre 2012 Agnelli lanciò la candidatura di Andrea Abodi, presidente della Lega di Serie B, alla guida della confindustria del calcio italiano. Accanto alla Juve si schierarono Inter e Roma. Una mossa tesa al nuovo, dopo l’ottimo lavoro svolto nella cadetteria dal probabile prossimo vice-presidente della Figc.
Agnelli non aveva però fatto i conti con Adriano Galliani e, soprattutto, Claudio Lotito. E Abodi non sfondò, fermandosi a 11 voti. Ne sarebbero serviti 15 nelle prime due votazioni, 14 alla terza. Dopo il nulla di fatto, Abodi tornò alla presidenza della B venendo votato all’unanimità dai 22 club. Quando la A si ritrovò un mese più tardi, il 18 gennaio 2013, il responsabile della comunicazione di Unicredit Maurizio Beretta, fortemente voluto da Lotito, venne rieletto con 14 voti. E l’asse dei suoi sostenitori occupò le poltrone: Galliani vicepresidente, Lotito e Pulvirenti consiglieri federali. Agnelli non risparmiò critiche alla decisione di conferire un secondomandato conferito a Beretta, definito da Lotito come ‘innovazione nella continuazione’: “Beretta continuerà a essere un presidente part-time e noi non ci vogliamo stare Dovrà invece dimostrare tutta la sua capacità e il suo operato e di svolgere ora quello che non siamo stati in grado di fare negli ultimi mesi”, tuonò il presidente del club torinese. Per poi passare all’attacco delle modalità con le quali si giunse all’elezione: “Si è mercanteggiato sulle posizioni. Non è corretto arrivare al consenso scambiandosi le poltrone. Siamo tornati a un calcio vecchio? E’ figlio delle dinamiche tipiche del nostro Paese. La Juve non ci sta, io non ci sto”.
Nelle scorse settimane – e fino a questa mattina – un altro tentativo di scardinare le posizioni di comando del calcio italiano. Prima di Optì Poba e dei mangia-banane, Agnelli era partito all’attacco di Tavecchio, bollandolo come “inadeguato” nella sala Regina della Camera. Per poi rilanciare parlando della necessità di avere un quarantenne ed ex giocatore alla guida della Figc. Albertini, insomma. Macalli, presidente della LegaPro e sponsor del nuovo numero uno della Federcalcio, non le mandò a dire: “La sua famiglia ha spolpato l’Italia” e lo stesso Tavecchio tirò dritto: “Lui bravo? Si candidi e vediamo. La federazione non è una roba da ridere”. L’Agnelli-pensiero è rimasto però minoranza (netta) quando in Lega Calcio si è arrivati a scegliere il candidato da appoggiare. Diciotto i presidenti a favore di Tavecchio, solo Agnelli e la Roma contro. Una maggioranza schiacciante che ha spinto il presidente della Juventus a ritirare la sua candidatura a consigliere federale “per coerenza”, auspicando “le primarie dei tifosi per vedere chi vorrebbero alla guida della federazione”.
Poi la frase razzista e gli smottamenti. Ma solo nove squadre sono scivolate sul fronte di Agnelli firmando il documento che chiedeva il ritiro dei candidati per aprire la strada a un commissario. Non è mai arrivata la decima, anzi nelle ultime ore si è sfilato il Cesena. E questa mattina, durante l’assemblea, Agnelli ha subìto attacchi velati anche dal presidente uscente Giancarlo Abete (“Chi dice che è una persona inadeguata, forse lo è lui davvero inadeguato…”) e dal patron del Genoa Enrico Preziosi (“E’ venuto in ginocchio a chiederci un posto in consiglio federale”). Tanto che nel bel mezzo delle votazioni, Agnelli ha litigato con il presidente rossoblù: “Non permetterti di parlare di me alla stampa”, per poi discutere animatamente anche con Lotito (hanno entrambi smentito). E dopo aver votato, ha abbandonato subito l’assemblea.
La campagna elettorale è finita, Tavecchio è presidente e tutti auspicano che si remi nella stessa direzione. Ma i toni che hanno condotto all’elezioni dell’ex presidente della Lega è probabile che abbiano degli strascichi. Agnelli non è riuscito a scardinare la catena di comando del calcio italiano. Per la seconda volta in un anno e mezzo. Non sembra però avere intenzione d’arrendersi.