Poveri bambini. Ammassati come un mucchio di vecchi stracci nelle stive delle carrette del mare. Stremati dalla fame, dalla sete, dal caldo. I più fortunati sbarcano sulle nostre coste e vengono stipati come sardine nei campi d’accoglienza. Per occuparsi di loro, i più indifesi, i senza nome, Luana Chiofalo, 24 anni, bellezza mediterranea di Messina, si è laureata in Scienze Politiche con una tesi in “Mediazione socio-culturale e scienze sociali per la cooperazione e lo sviluppo”. E ricorda l’attimo preciso in cui decise che avrebbe dedicato la propria vita a loro, agli ultimi della terra. “Lungo la statale che conduce a Catania, all’altezza di Mineo, uno sparuto gruppo di uomini, forse una ventina o più, ansimanti, in fuga, sul ciglio della strada, avevano scavalcato le reti di recinzione del campo profughi per dare l’assalto a distese d’aranceti pur di mettere in bocca qualcosa. Facevano segni ripetuti di fermarci. Ero con la mia famiglia e non lo nego ho avuto paura. Fermarsi voleva dire andare incontro a sorprese non gradite. Che aiuto avremmo potuto dare in quelle condizioni? Mentre rallentiamo, arrivano camionette e volanti della Polizia e le modalità d’intervento delle Forze dell’Ordine stanno ad indicare che quei disperati erano braccati perché fuggiti dal vicino centro di accoglienza”, racconta.
Era ieri ma sembra oggi perché gli sbarchi di clandestini non si fermano.
“Vanno alla ricerca di un ‘Paradiso’ e trovano l’inferno dal quale non si esce, uomini e donne incolpevoli solo perché anelano ciò che la loro terra di origine non può assicurare. Nemmeno l’essenziale….. – continua Luana- L’inarrestabile sbarco di migranti sulle coste siciliane pone una serie d’interrogativi che travalicano dall’aspetto puramente umanitario. Vite sacrificate, corpi di donne e bambini che come bara hanno l’azzurro, macchiato di sangue, di un inospitale mare. Gente che fugge per disperazione, costretta ad affidare la propria esistenza a scafisti senza scrupoli, rincorrendo il miraggio di un futuro migliore o, almeno, di un futuro. C’è ‘un filo’ che accomuna questi ‘disperati’ da qualsiasi angolo del mondo provengano. Chi è tra i fortunati tocca terra portandosi dietro le grida strazianti di quelli che non ce l’hanno fatta. Ogni qual volta che i servizi televisivi mostrano immagini di uomini ammucchiati dentro pulmini, diretti verso “luoghi migliori” per essere, invece, ammassati in enormi stanzoni, (ma almeno rifocillati e curati alla meglio) mi tornano in mente le sequenze di quell’aiuto non dato a quegli uomini in fuga. Ecco mi domando: dove la ricerca della libertà e l’aspettativa di una vita migliore iniziano a scontrarsi con le leggi sull’immigrazione come potremmo garantire un futuro a questi ‘disperati’?, conclude amara Luana.
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