Finora la proprietà è stata delle banche, ora è del Qatar. E tra poco cambierà anche l’unica certezza del palazzone bianco all’ingresso sud di Olbia che punta a diventare ospedale d’eccellenza: il nome. Non più San Raffaele, o ex San Raffaele. Spazio alla fantasia, anche se è altamente probabile un omaggio al partner scientifico del progetto, l’ospedale Bambin Gesù di Roma. Il Qatar mette i soldi, il Vaticano le competenze e parte del personale medico.
Tutto corre sul fil di lana, per l’incompiuta doc lasciata in eredità alla Gallura dal crac della casa madre San Raffaele di Milano e della Fondazione Monte Tabor. Sullo scoccare della mezzanotte delll’ultimo giorno disponibile, sabato 9 agosto, è arrivato l’accordo tra le banche creditrici, proprietarie dello stabile, e la Qatar Foundation Endowment. Che gestisce i fondi dell’Emirato e metterà sul piatto 1,2 miliardi di euro di investimenti in dodici anni. La cifra che invece arriverà a Sardaleasing e alle società di leasing che fanno capo a Banca Intesa, Monte dei Paschi di Siena e al gruppo bancario delle Casse di credito cooperativo e casse rurali viaggia sui 33,8 milioni di euro. Si tratta di circa metà dei crediti vantati nei confronti dell’ex gruppo di don Luigi Verzé, il prete manager della sanità.
Ma il dado dell’ultimo investimento degli arabi in Sardegna è tratto e per il decollo del progetto, sostenuto sia dal governo Renzi sia dalla giunta di centrosinistra di Francesco Pigliaru, manca solo un via libera del tribunale fallimentare di Milano. Un affare internazionale (e diplomatico) di lunga data: prima delle strette di mano, ci sono stati i viaggi a Doha dei presidenti del Consiglio Mario Monti e Enrico Letta. Nove mesi fa la firma del primo protocollo, con l’impegno formale e le tappe forzate da rispettare. Ma anche l’ombra della concorrenza tedesca e di un possibile accordo parallelo a Francoforte, poi sfumato.
L’incompiuta – Di San Raffaele e dell’ospedale dei sogni si parla in Sardegna dagli anni Ottanta. La costruzione è iniziata 20 anni più tardi e l’apertura è stata sempre rinviata, fino al crac della fondazione Monte Tabor che l’ha definitivamente affossato. Un buco milionario che ha trascinato la Metodo impresa e quindi le ditte subappaltatrici sarde. Tra le ipotesi che si sono accavallate nel tempo anche quella di far diventare il casermone un enorme albergo vista mare. Poi l’arrivo dei “salvatori” del Qatar, che completeranno l’opera con 100 milioni di euro iniziali e l’acquisto di macchinari e arredi.
Gli affari del Qatar e il modello pubblico-privato – L’emiro Tamim Al Thani gioca in casa. Due anni fa ha infatti rilevato il controllo della Costa Smeralda holding, che gestisce il patrimonio immobiliare e gli alberghi prima in mano al miliardario libano-statunitense Tom Barrack e prima ancora al leggendario fondatore, il principe Karim Aga Khan. Un passaggio da circa 600 milioni di euro su cui si indaga per evasione fiscale. Quello del Qatar, da realizzare entro il 2016, sarà quindi anche l’ospedale della Costa, ma non solo.
Il progetto prevede 242 posti letto ad assistenza convenzionata, quindi pagata con soldi pubblici ai gestori del Qatar per una spesa di 55 milioni di euro all’anno che verserà la Regione. L’ipotesi è quella di tamponare così la migrazione dei malati sardi che costa 62 milioni di euro l’anno a un sistema perennemente in perdita. I proprietari batteranno invece cassa con la parte totalmente privata, in sostanza una clinica, anche per stranieri, da 50 posti letto. O meglio vere suite.
La realizzazione andrà a scaglioni: il primo anno di attività sarà il 2015, con 178 posti letto, mentre nel corso del secondo anno si completerà l’offerta. Le specialità comprendono tra le altre pediatria, cardiologia, neurologia e unità coronarica. Ci sarà poi un centro nazionale e internazionale per la diagnosi, la cura, la riabilitazione e la ricerca scientifica. In particolare si studierà una delle malattie che uniscono Sardegna e Qatar per le percentuali record: il diabete.
I dubbi locali e la promessa del “piano Marshall” per la Sardegna – I pareri contrari alla maxi-operazione restano sotto traccia. L’assessore alla Sanità Luigi Arru ha chiesto alcuni approfondimenti durante il frenetico iter, ma ora tutti sembrano lavorare per una buona riuscita. I dubbi sollevati, soprattutto in sede di commissione nazionale Sanità, riguardano l’effettiva utilità della struttura e il timore che il maxi presidio spazzi via le altre eccellenze regionali, l’ospedale pubblico di Olbia o quelli piccoli distribuiti sul territorio, sempre a rischio tagli ma a cui le comunità, spesso isolate, non vogliono rinunciare. Questione di tetti spesa e posti letto, in una rete regionale da riorganizzare.
Ma ormai si va avanti, soprattutto per non tornare indietro. E i toni di Lucio Rispo, rappresentante italiano della Qatar Foundation, non lasciano spazi a tentennamenti sulla convenienza per l’economia sarda: la promessa è di garantire oltre mille posti di lavoro. Il rilancio dell’ospedale, ha dichiarato qualche mese fa, “può avere il connotato di un piano Marshall per la Sardegna. Noi non siamo gli americani e non si esce da una guerra, ma è bello che un Paese ricco grazie alle risorse e uno ricco grazie ai cervelli ce l’abbiano messa tutta per lavorare insieme per la popolazione senza distinzione di razza, sesso e ceto sociale”. Il 29 agosto sarà firmato l’atto finale del contratto tra Regione e Qatar, mentre a settembre potrebbe arrivare a Olbia un componente della famiglia dell’emiro.