“Non si affitta ai meridionali”. Sono passati più di cinquant’anni da quando si vedevano sui balconi degli appartamenti di Torino o Milano questi cartelli. Oggi, ad ascoltare le parole del presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni che ha chiesto concorsi pubblici regionali di fronte all’ondata di prof meridionali che cercano una cattedra al Nord, dovremmo affiggere davanti alle nostre aule i cartelli con scritto: “Qui non insegnano meridionali”.
Il gioco per la Lega Nord è stato fin troppo facile di fronte a un’evidente migrazione scolastica dal meridione al settentrione che dura ormai da anni. Per quanto riguarda gli albi regionali, la Lega nel disegno di legge (S. 2411) aveva già proposto che i candidati scegliessero liberamente in quale regione eleggere il proprio “domicilio professionale”, senza vincolo di residenza. Il meccanismo che proponeva, puntava su una prova di preparazione effettuata nella regione scelta dal candidato. Il tutto, a detta loro, per fungere da “calmiere” agli spostamenti dalle zone con meno opportunità di lavoro. Una visione “leghista”, “separatista” e discriminante nei confronti degli abitanti del Sud che vivono nel nostro stesso Paese, almeno fin quando la Lega non riuscirà ad essere maggioranza in Italia. Resta, tuttavia, un problema. I numeri aiutano a capirlo: il 53 per cento delle oltre 28 mila cattedre messe a disposizione del ministero per le assunzioni nel 2014 andranno alle scuole del Nord. La maggior parte di questi posti finirà ai docenti meridionali.
A Milano basta scorrere le graduatorie ad esaurimento per vedere che delle 245 assunzioni, 241 andranno a siciliani, pugliesi e calabresi. Dati che stanno creando, in un momento di grave crisi occupazionale, una guerra tra poveri del Nord e poveri del Sud. Per comprendere ciò consiglio a tutti tra il 29 e il 30 agosto una gita all’ufficio scolastico provinciale del proprio territorio: incontrerete uomini e donne, famiglie, 50enni, giovani sotto i 30 che arrivano a Milano, a Cremona, a Gorizia o a Mantova con la valigia e la cartina in mano. Persone che hanno lasciato la loro famiglia, i loro amici, una casa, le loro tradizioni, i loro sapori, i loro amori, per un posto di lavoro in un luogo sconosciuto. E’ la storia di tanti precari del Sud che ho incontrato in questi anni d’insegnamento. E lì, all’ufficio scolastico provinciale, i “colleghi” del Nord spesso guardano con diffidenza agli altri.
Ancora una volta la politica, tuttavia, non ha centrato l’obiettivo. Anziché alimentare questo conflitto tra maestri meridionali e settentrionali, la Lega Nord e anche i partiti del Centrosinistra, avrebbero dovuto preoccuparsi del fatto che di fronte allo sfacelo della scuola italiana, gli insegnanti sono ancora troppo pochi. Davanti a dati della dispersione scolastica che necessiterebbero di un esercito di maestri nelle città del Sud, si registrano sempre più tagli e di conseguenza un calo di iscrizioni alle graduatorie da parte degli aspiranti insegnanti che chiedono di migrare. Non solo, a Maroni forse sfugge un altro tema: il reclutamento così com’è è umiliante e poco utile alla scuola. Da una parte crea una mancata continuità didattica, dall’altra non offre alla scuola la possibilità di valutare gli aspetti psicologici, relazionali, pedagogici di un docente ma lascia tutto nelle mani di una lista (graduatoria) dove si arriva in cattedra per slittamento. Non nascondo da tempo una proposta alternativa ovvero la chiamata diretta da parte delle scuole con un comitato di garanzia eletto tra i docenti ed un responsabile del personale che valuti il curriculum dell’aspirante docente.
Un’ultima osservazione: in questa partita giocata dalla politica, i più stolti sono proprio i docenti che ancora una volta si sono lasciati usare da chi porta una spilla al bavero della giacca, dando spazio ad una guerra assurda tra poveri. Qualche anno fa, di fronte all’ennesima umiliante chiamata all’ufficio scolastico provinciale, feci uno sciopero della fame per richiamare l’attenzione sul problema. Gli unici a girarmi le spalle, a prendere la via più larga per evitare di essere coinvolti in questa manifestazione, furono proprio i colleghi. Ma in fondo agli italiani, soprattutto ai docenti italiani, piace essere trattati da burattini dal burattinaio di Palazzo.