In tempi di crisi (di soldi, ma anche di idee) lo spettacolo deve inventarsi nuove pratiche, nuove forme, nuovi luoghi. I generi si ibridano, le tradizionali divisioni non hanno più senso: basta pensare a quanto sia obsoleta e priva di riscontro la vecchia distinzione documentario/finzione nel cinema. E se i grandi teatri all’aperto faticano a riempirsi, soprattutto in questa estate meteorologicamente così strana, bisogna saper immaginare contaminazioni e suggestioni insolite – è il caso per esempio dei bellissimi concerti dei Suoni delle Dolomiti, realizzati da parecchi anni in mezzo agli scenari maestosi e sublimi delle montagne trentine – oppure nuove forme di drammaturgia capaci di costruire grandi narrazioni in forma più intima.

Allora si può provare a fare in modo che su una rotonda sul mare, anziché il nostro disco che suona, come recitava la canzone anni Sessanta, ci siano Clitennestra e Calipso, Agamennone e Odisseo. E’ quello che fa il progetto Odissea, un racconto mediterraneo, messo in scena dal Festival La Versiliana di Marina di Pietrasanta non in un teatro tradizionale, ma nello spazio aperto del mare, sulla rotonda che chiude un lungo pontile, circondata dal mare. Per alcune sere durante l’estate un solo attore propone un suo attraversamento personale di un episodio dell’Odissea. Così si è già potuto sentire Moni Ovadia o Giuseppe Cederna, Davide Enia o Paolo Rossi evocare la maga Circe o i Feaci o altre storie di Odisseo. Ma il vero valore aggiunto del progetto non sta (solo) nella ripresa di un testo che – tolto dalle polverose reminiscenze scolastiche – rivela ancor oggi tutta la sua potenza prima di tutto visiva, quasi cinematografica: sta invece nel trovarsi d’improvviso in mezzo al mare, circondati dai suoni del mare ora tranquillo ora impetuoso, a sentir parlare di avventure del mare.

In uno degli ultimi appuntamenti del progetto, Amanda Sandrelli ha costruito forse una delle interpretazioni più intense, richiamando la storia di Calipso. E l’ha intrecciata con la storia di Clitennestra, così come l’ha elaborata Marguerite Yourcenar nel suo Fuochi. La vita, dice la Sandrelli, è una sequenza di addii e separazioni: per la donna, capace di accogliere e nutrire, è difficile lasciar andare l’uomo amato. Clitennestra e Calipso incarnano due modi diversi e opposti di reagire all’abbandono. L’una uccide l’amato Agamennone che l’ha abbandonata per anni a causa della guerra di Troia: e benché lei lo abbia tradito con il giovane Egisto, lo ha fatto, come si difende nell’appassionata orazione di fronte alla corte che la sta giudicando, per una forma disperata di fedeltà poiché per ogni donna esiste un solo uomo al mondo, e il resto “è un errore o un malinconico surrogato”. Amando ancora Agamennone, Clitennestra vorrebbe che lui la vedesse, vorrebbe non diventargli invisibile: per questo desidera che lo guardi un’ultima volta mentre lei lo uccide.

Calipso invece esplica il suo amore lasciando partire col cuore Odisseo, liberandone l’energia, quella che lo riporta nel tempo dei mortali, anziché nell’oltretempo degli immortali dove lei lo ha tenuto per anni. E se il mare è una sfida, sfida ai limiti e al desiderio, la passione di Odisseo, che piange ogni volta guardando il mare, è la passione della nostalgia, ma anche quella della conoscenza. E’ sfidando il mare che gli esploratori di ogni tempo hanno ribaltato le certezze che li avvolgevano. E il mare, luogo dell’ignoto e della partenza, del viaggio e dell’abbandono, è anche la grande madre che nutre l’immaginario di ognuno. Una sera d’estate in mezzo al mare, con Calipso e Odisseo.

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