E’ stata un’altra giornata di passione per le Borse europee. I dati negativi sulle economie di Berlino e Parigi e quelli sull’intera area euro hanno indebolito la partenza dei listini, depressi anche dalle previsioni contenute nel bollettino mensile della Banca centrale europea, che ha tagliato le stime di crescita per l’Eurozona. Ma con il passare delle ore la diffusione dei numeri sui sussidi di disoccupazione statunitensi, più alti delle attese, ha ridato fiato a quasi tutti i mercati del Vecchio continente, compresa Francoforte che ha terminato la seduta in rialzo dello 0,29 per cento. Tra le eccezioni, Milano e Madrid, che hanno chiuso rispettivamente a -0,29 e -0,07 per cento. Come dire che il calo del Pil della Germania, sommato alle notizie dei giorni scorsi sulla deflazione e sul livello record raggiunto dal debito, ha colpito Piazza Affari più della Borsa di Francoforte. A soffrire sono state soprattutto le banche.
Una giornata in altalena. Listini risaliti grazie agli Usa e all’attesa per le mosse della Bce – Giovedì in apertura tutte le Piazze del Vecchio Continente hanno virato in rosso, Milano in testa a -0,7%, seguita da Parigi (-0,47%) e Francoforte (-0,37%). L’inversione di rotta è arrivata in scia all’attesa per i dati Usa e per l’avvio di Wall Street. Seza contare che, davanti alla ripresa che arranca e all’inflazione che continua a rallentare, gli investitori si aspettano che la Bce di Mario Draghi si decida a utilizzare il famoso “bazooka”, cioè l’acquisto di titoli (di Stato ma non solo) per immettere liquidità nell’economia. Un intervento (in gergo quantitative easing) che mercoledì un gruppo di economisti sondati dall’agenzia Reuters dava per possibile il prossimo anno con una probabilità superiore al 30 per cento. Aspettative che non hanno però riacceso né Madrid né Milano. Piena ripresa, invece, per l’indice principale della borsa tedesca, nonostante la prima frenata del Pil dal 2012. Carsten Brzeski, senior economist di Ing, intervistato dall’Adnkronos ha spiegato che “nel breve periodo l’economia tedesca può rimanere il motore della crescita economica europea, se il robusto mercato del lavoro e i salari in crescita sosterranno i consumi privati e se la forte crescita negli Usa e nel Regno Unito riusciranno a più che compensare le perdite dell’export verso altri Paesi”. Ma la Cancelliera Angela Merkel non può stare del tutto tranquilla, perché “senza una domanda interna più forte, un simile modello di crescita potrebbe rapidamente diventare insostenibile. Tutto considerato, i dati di oggi del Pil non segnano un punto di svolta nella crisi dell’euro, ma per la Germania sono un forte indicatore del fatto che un eccessivo autocompiacimento economico può facilmente trasformarsi in un boomerang”.
I bund tedeschi restano un salvagente. E il tasso di interesse scende per la prima volta sotto l’1% – Berlino, resta nonostante tutto il salvagente d’Europa. O meglio: lo rimangono i suoi titoli di Stato. Mercoledì l’asta del Bund decennale ha registrato una domanda superiore di 1,6 volte rispetto all’offerta e alla fine i titoli sono stati venduti offrendo un tasso di interesse dell’1,08%, il minimo storico. E giovedì, a dispetto della frenata dello 0,2% registrata dal Pil tedesco nel secondo trimestre, il rendimento dei Bund è addirittura sceso per un po’ sotto l’1%, prima volta nella storia. Insomma: più i mercati si spaventano per gli scricchiolii dell’economia reale e i possibili contraccolpi dei conflitti in Medio Oriente e in Ucraina, più comprano il debito di Berlino anche a rischio di accontentarsi di un guadagno risicatissimo. Con un effetto collaterale per Roma: lo spread, che altro non è se non la differenza tra il tasso d’interesse pagato dai Bund e quello garantito dai nostri titoli a 10 anni, si allarga. E che giovedì si è ristretto solo grazie a un calo degli interessi pagati dai buoni poliennali del Tesoro di pari durata scesi al 2,6% e così si è attestato a 164 punti contro i 168 di mercoledì.