Potrebbe finire in Procura l’ultimo pasticcio sotto il tappeto della Cooperazione. “Credo ci sia un errore nelle graduatorie”. Il primo ad accorgersi del problema, senza magari coglierne pienamente la gravità, è stato un cooperante. Qualcosa non va nelle ultime graduatorie dei progetti approvati a fine giugno e ammessi al finanziamento per 14,4 milioni di euro dal ministero degli Affari esteri. “I numerosi progetti presentati sull’Ecuador sono stati valutati come se il paese non fosse prioritario. La delibera del bando faceva invece riferimento alle linee guida 2013-2015, nelle quali l’Ecuador è paese prioritario. La cosa risulta anche alle altre organizzazioni che hanno proposto progetti sull’Ecuador?”. La domanda viene postata sul sito Infocooperazione.it e da lì ha inizio un terremoto sotterraneo che manda in fibrillazione il settore, con tante ong pronte a bussare, con ricorsi e denunce alla mano, alle porte della Direzione generale per la Cooperazione.
Quel che è emerso, senza smentite da parte del Mae, è che col bando in pieno svolgimento qualcuno, a Roma, ha pensato bene di modificare l’elenco dei cosiddetti “paesi prioritari”, introducendo – per così dire – una variante in corso d’opera. L’Avviso Pubblico del bando, pubblicato in Gazzetta il 3 dicembre 2013, all’articolo 8 comma 5 faceva riferimento esplicito alle linee guida 2013-2015 (pag.16). In seguito, con delibera della Direzionale del 27 marzo 2014 venivano emanate le nuove linee guida 2014-2016 (pag.27) con una geografia delle priorità profondamente cambiata: da 24 si passava a 20 Paesi; Guinea, Ecuador, Vietnam e Iraq erano del tutto spariti. Un tratto di penna, zac. Gli esiti pubblicati a fine giugno sembrano confermare il sospetto che la variante abbia prodotto una spaccata da biliardo sulle graduatorie, alterando il giudizio della Commissione: tra i 173 progetti ritenuti idonei (guarda) ben 10 riguardavano l’Ecuador ma nella graduatoria finale (apri) se ne trovano soltanto due, mentre non c’è traccia alcuna di quelli destinati a Guinea e Iraq. Evidentemente, alcune Ong sono state penalizzate dalla variante, scivolando o uscendo dalla graduatoria, altre ne hanno ricavato invece un beneficio, ottenendo punteggi più alti. E son milioni che ballano, da una parte e dall’altra.
Non l’hanno presa bene, gli esclusi. Tanto che i loro legali rappresentati pronti dossier da tempo dossier da depositare in Procura, ai Tar e ovunque pur d’invalidare il bando. Per i ricorsi ordinari hanno tempo fino alla prima decade di settembre e finora, a quanto pare, nessuno si è mosso. Le grandi organizzazioni che le rappresentano – tra cui Aoi, Cini, Link 2000 e altre – stanno tentando infatti di tenere a freno i soci tentati dalla fuga in avanti, verso tribunali e pubblici ufficiali. E il perché è presto detto: un annullamento che restituisse giustizia alle ong danneggiate dal cambio di “priorità” provocherebbe un danno a quelle che ne hanno ottenuto invece un beneficio. E siccome le rappresentano entrambe, come uscirne senza danni è diventato per loro il complicatissimo rebus dell’estate.
“Abbiamo chiesto un incontro al viceministro Lapo Pistelli e al direttore generale Giampaolo Cantini per evidenziare il problema e verificare la loro disponibilità politica e fattiva per trovare modalità e strumenti per “sanare” la situazione che si è creata, evitando penalizzazioni per i “beneficiati” e gli “ingiustamente esclusi”, ha spiegato Silvia Stilli, portavoce dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale. Gli incontri si sono poi tenuti a fine luglio, ma l’approccio morbido e “politico” si è rivelato per ora infruttuoso. La pretesa di incollare i cocci rotti e salvare tutto il vaso si è tradotta in una proposta difficile da far passare al ministero. In sostanza verteva sulla possibilità di rimediare con il prossimo bando, quello di ottobre, utilizzando le graduatorie esistenti. Ammettendo cioè soltanto i progetti rimasti fuori dall’ultima tornata.
Dal lato Farnesina il rimedio dev’esser sembrato peggiore del male. Quell’opzione, infatti, avrebbe esposto l’amministrazione al rischio di una seconda ondata di ricorsi da parte di nuovi soggetti esclusi e stavolta non per un eventuale errore ma deliberatamente. Così, la proposta – a quanto riferiscono le Ong – non è stata neppure presa in considerazione. E la vicenda pende tutt’ora, irrisolta. Interessante è capire perché non è venuta fuori per un mese e mezzo. Perché nessuno ne parla, nonostante riguardi il sospetto di assegnazioni irregolari di quasi 15 milioni di euro? Tra le altre risposte plausibili, oltre all’impasse tutto interno alle ong descritto prima, c’è una ragione di fondo: il coltello dalla parte del manico, quando si parla di fondi di cooperazione, ce l’ha sempre e ancora la Farnesina, almeno fino a quando non sarà operativa la nuova Agenzia per la Cooperazione che dovrebbe avere più ampia autonomia. In soldoni: chi volesse impuntarsi, procedendo per vie legali, potrebbe finire per danneggiare anche se stesso, esponendosi a eventuali “rappresaglie” nei bandi successivi.
“Da questo punto di vista siamo sempre ricattabili”, ammette a denti stretti il presidente del Coordinamento delle Organizzazioni non governative per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo, Giancarlo Malvolti. Non solo. Gli arditi che alzassero la testa potrebbero danneggiare anche le altre ong, bloccando di fatto l’erogazione dei fondi già assegnati per effetto del bando. E sarebbe un bel guaio per tutti, anche in vista della stesura della Legge di Stabilità, che richiederà a tutti di lottare per assicurare risorse al settore. Come sempre si attende il miracolo di San Gennaro, con i fondi che si trovano all’ultimo grazie a uno sfiancante pressing su partiti e Parlamento. Un passo falso comprometterebbe tutto. Con la beffa finale, stavolta, che anche i soldi già stanziati e non erogati entro l’anno, a causa dei possibili ricorsi, tornerebbero indietro lasciando tutti i cooperanti a bocca asciutta. Anche se il pasticcio lo hanno subìto, mentre l’amministrazione, probabilmente l’unica responsabile, continua a dormire sonni tranquilli.