Serviranno almeno 6 mesi per fermare la diffusione del virus Ebola in Africa Occidentale. Lo dice Medici senza frontiere (Msf). L’Europa, che sta adottando alcune misure per proteggersi dal virus, tira invece un sospiro di sollievo dal momento che si è rivelato negativo quello che poteva essere il primo caso europeo. La donna britannica trovata morta a Vomp in Austria, dopo un viaggio in Nigeria, è infatti deceduta per altre cause. La cittadina britannica di 48 anni era rientrata il 12 agosto in Tirolo, da un viaggio nel paese africano ed era morta poco dopo nella sua abitazione. Ma, come ha comunicato il land Tirolo, non si tratta di Ebola, dal momento che il test ordinato dal medico distrettuale ha dato esito negativo.
Intanto Frontex, l’agenzia dell’unione europea per la gestione delle frontiere, ha deciso di sospendere fino a nuova decisione i voli di rimpatrio in Nigeria degli immigrati clandestini a causa dell’epidemia. “Alcuni Paesi – ha aggiunto la portavoce Ewa Moncure da Varsavia, sede di Frontex – fra cui l’Austria, hanno preso una decisione simile”.
E in Gran Bretagna tutte le università sono state allertate e istruite su come gestire un’eventuale focolaio di epidemia di Ebola. Con l’approssimarsi dell’inizio del semestre e delle lezioni a settembre infatti, Universities Uk, l’organismo che rappresenta i vice-rettori e le università britanniche, ha scritto ad ogni campus e università, inviando una guida con dettagliate istruzioni perché si attendono migliaia di nuovi studenti proprio dall’Africa occidentale. Se Liberia, Guinea e Sierra Leone, hanno a malapena qualche studente iscritto, la Nigeria invece è il quarto Stato per numero di studenti stranieri iscritti alle università britanniche: 9.630 nell’anno accademico 2012-13.
Sul fronte africano c’è da segnalare la decisione del Burkina Faso, che pur non avendo registrato finora casi di contagio, ha scelto di rinviare sine die il vertice dell’Unione africana (Ua) su “Occupazione e povertà” che avrebbe dovuto tenersi nella capitale Ouagadoudou dal 2 al 7 settembre. E il Camerun ha chiuso le sue frontiere con la Nigeria per prevenire la diffusione del virus. “Preferiamo prevenire piuttosto che guarire”, ha detto oggi il ministro camerunese della Comunicazione e portavoce del governo, Issa Tchiroma Bakary.
In Liberia invece, vicino Monrovia, Medici senza Frontiere ha iniziato domenica ad assistere pazienti in quello che diventerà il più vasto centro di trattamento dell’Ebola mai realizzato dall’organizzazione. L’apertura del centro è avvenuta il giorno dopo l’irruzione nel centro di cura da parte di alcune decine di uomini che hanno saccheggiato e portato via pazienti e scorte. Dei 37 pazienti fuggiti dalla clinica nella capitale liberiana Monrovia saccheggiata nel fine settimana, 20 sono stati recuperati e sono di nuovo sotto osservazione in due ospedali della città. Lo fa sapere il ministero dell’Informazione aggiungendo di essere sulle tracce degli altri 17.
Il nuovo centro aperto da Msf è progettato per ospitare inizialmente 120 pazienti, e poi arrivare ad accoglierne 400. Come ha ricordato Joanne Liu, presidente di Msf, “la situazione sta peggiorando più velocemente del previsto e il virus si muove più in fretta rispetto alla risposta che possiamo dare. Se non riusciamo a stabilizzare la Liberia – conclude – non riusciremo mai a stabilizzare l’intera regione. Abbiamo bisogno di un impegno di mesi, almeno sei, direi. Tutti i governi devono agire ora se vogliamo contenere l’epidemia”.