In materia di fecondazione eterologa “non c’è nessun vuoto normativo che impedisca di procedere in base alle regole della medicina, e alla legislazione sanitaria vigente”. Il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso – presentato prima della decisione della Consulta che abolisce il divieto – di due coppie a cui era stata negata la possibilità a procedere con l’eterologa, da parte di un centro medico. Il Tribunale, che in due ordinanze depositate lo scorso 14 agosto dal giudice Antonio Costanzo della prima sezione civile, ha sottolineato come la sentenza della Consulta abbia cambiato il quadro normativo di riferimento, riconoscendo di fatto il diritto per chiunque lo desideri di ricevere il trattamento. Senza la necessità, insomma, di introdurre nuove normative come ipotizzato dal ministero della Salute, che nelle scorse settimane aveva sì stabilito che non ci sarebbero state sanzioni per chi pratica la procreazione medica assistita con ovodonazione proveniente da un soggetto esterno alla coppia richiedente, ma aveva aggiunto che senza una legge nazionale la sicurezza dei pazienti sarebbe stata “a rischio”.
Con il verdetto della Corte Costituzionale, spiega invece il giudice nell’ordinanza, “è venuto meno l’ostacolo, altrimenti insuperabile in via interpretativa, all’accoglimento della domanda”, e siccome la Consulta stessa ha escluso l’esistenza di lacune nella regolamentazione essenziale dell’accesso alla procreazione medica assistita, “non c’è nessun vuoto normativo che impedisca di procedere in base alle regole della medicina, e alla legislazione sanitaria vigente”. Le due coppie bolognesi avevano presentato ricorso dopo che il centro medico a cui si erano rivolte aveva rifiutato loro la possibilità di procedere con l’eterologa, prima tuttavia della sentenza della Corte Costituzionale, e ora proprio grazie alla Consulta e al Tribunale di Bologna, potranno partire con la procreazione medica assistita immediatamente. “I giudici smentiscono il ministro della salute Lorenzin”, affermano i legali di una delle coppie, Filomena Gallo e Gianni Baldini.
“La pronuncia del Tribunale di Bologna è assolutamente positiva: come sottolineammo fin dal giorno successivo al deposito della sentenza della Consulta, le coppie sterili/infertili possono subito ricorrere alla terapia di cui necessitano – commentano anche gli avvocati Massimo Clara, Marilisa D’Amico, Mariapaola Costantini e Sebastino Papandrea, rappresentanti della seconda coppia – il Tribunale ha ovviamente riconosciuto il diritto alla terapia, visto che il divieto contenuto nella legge 40 è stato cancellato, ma ha anche sottolineato con ampia motivazione come non sussista allo stato nessun vuoto normativo che impedisca di procedere immediatamente secondo le regole della medicina e della legislazione sanitaria vigente, applicando al caso concreto l’indicazione che era stata formulata dal giudice costituzionale”. “Linee guida aggiornate, decreti ministeriali attuativi, altri provvedimenti – aggiungono gli avvocati – potranno contribuire al miglioramento delle procedure: ma non sono e non possono essere il pretesto per negare un diritto e per aggirare una chiarissima sentenza della Corte Costituzionale”.
Una sentenza accolta con favore anche dalla Regione Emilia Romagna, pronta, assicura l’assessore alle Politiche per la salute, Carlo Lusenti, “a muoversi autonomamente per affermare questo diritto” qualora la Conferenza delle Regioni non dovesse emanare, entro settembre, le norme tecniche attese. “Quella del Tribunale di Bologna è una sentenza che ribadisce ciò che noi abbiamo sempre sostenuto, così come era stato affermato dalla sentenza della Corte costituzionale: cioè che esiste un diritto, senza alcun vuoto legislativo, e che tale diritto deve essere reso esigibile anche attraverso il servizio pubblico”, sottolinea Lusenti. “Ho nuovamente sollecitato oggi la commissione salute della Conferenza delle Regioni, perché ci si riunisca in questi giorni per definire norme tecniche comuni da adottare entro i primi di settembre. Se per quella data non saremo pronti, adotteremo delle norme autonomamente, perché non possiamo accettare che si prosegua oltre in una fase di indeterminatezza di questo diritto”.