La beffa dei “quota 96” ha dell’incredibile ma non è l’unica ritorsione nei confronti degli insegnanti italiani. Che vivono davvero come foglie sospese sugli alberi d’autunno. L’elenco delle vessazioni che hanno subito negli ultimi anni e che continuano a subire potrebbe non finire mai.
Il risarcimento mancato per una manciata di spiccioli
Solo in un paese in cui chi governa non sa nulla della scuola e dove i ministri si alternano come nel gioco dei quattro cantoni, si poteva confondere l’anno solare con l’anno scolastico e impedire ai docenti che avevano raggiunto i requisiti per la pensione entro l’anno scolastico 2011/2012 (con la “quota 96”) di andare in pensione nel 2012, primo anno dell’era Fornero. L’emendamento a loro favore dopo essere stato votato con la fiducia alla Camera è stato eliminato, con la fiducia, al Senato. Un capolavoro di schizofrenia che ora, secondo quanto riporta orizzontescuola.it, potrebbe essere sanato con un provvedimento ad hoc che, però, potrebbe contenere un’altra beffa: ammettere il pensionamento con una penalizzazione del loro assegno. Il peccato originale della scuola italiana, in realtà, deriva dai tagli della riforma Gelmini. Dietro il folklore del grembiulino si nascondeva il più poderoso taglio di risorse mai effettuato.
Dalla Gelmini in poi, una politica a base di tagli
Secondo i dati della Flc-Cgil, tra il 2007/2008 e il 2012/2013, a fronte di una crescita di 90mila alunni si sono avuti 81.614 docenti in meno: da 707 a 626mila assunti a tempo pieno indeterminato. Le classi tagliate sono state 9mila. Il mito del maestro unico ha significato un taglio di 28.032 unità nonostante gli alunni siano stati più di 18mila con un taglio di oltre 4mila classi. La riorganizzazione dei licei e degli istituti tecnici presentata dall’allora ministra Gelmini come una rivoluzione, è servita a produrre una diminuzione del corpo insegnanti di 31.464 unità con la soppressione, anche qui, di oltre 4mila classi. Facile immaginare l’aumento del caos e dei carichi di lavoro. Nessuno dei tre ministri in tre anni che l’hanno seguita (Francesco Profumo, Maria Chiara Carrozza, Giannini) ha saputo mettere le mani a questa iniquità. E la scuola continua a scoppiare.
L’istruzione nelle mani dei non garantiti
I tagli sono stati sempre fronteggiati con il ricorso al lavoro precario. Nella scuola esiste un serbatoio, enorme, in parte infinito, di contratti a tempo determinato la cui quantificazione e definizione sfugge a qualsiasi civiltà amministrativa. La ministra Giannini ha parlato di 170mila precari iscritti nelle varie graduatorie. Secondo il sindacato Anief, conteggiando le graduatorie di istituto, si arriverebbe a 460mila. Il meccanismo del reclutamento, dopo il concorso Profumo, è diviso al 50% tra le graduatorie a esaurimento e le gradutatorie di merito. Ma poi ci sono le graduatorie d’istituto che vengono divise in tre fasce, prima, seconda e terza. Un caos che, recentemente, ha fatto scattare il conflitto tra i docenti che hanno svolto il nuovo tirocinio formativo (il Tfa) per abilitarsi all’insegnamento e coloro che sono stati abilitati senza Tfa ma con il Pas, il percorso abilitante speciale, avendo lavorato per almeno tre anni. A parte lo scontro di sigle (Tfa contro Pas) gli uni sostengono di avere più titoli degli altri, in una guerra tra poveri che difficilmente troverà una composizione.
A complicare tutto, la beffa del concorsone
Basti pensare a cosa è successo a coloro che hanno partecipato al “concorsone” indetto dal ministro Profumo nel 2012. Avrebbe dovuto rappresentare la soluzione di tutti i problemi. Invece, dopo aver bandito il concorso per 11.542 posti, nel 2013 solo 3.500 sono state “immesse in ruolo”, cioè assunti, gli altri sono stati collocati in una… nuova graduatoria. Senza contare che in alcune regioni, come la Toscana, gli esami del concorso del 2012 si sono conclusi nel 2014 e in altre, come la Sicilia, i posti assegnati sono stati evidentemente sovrastimati.
Quando Bruxelles smette di chiedercelo
Abbiamo i docenti peggio pagati d’Europa. La tabella della Cisl non ammette repliche: a inizio carriera la retribuzione lorda di un insegnante della scuola secondaria di primo grado (le medie) in Italia guadagna 24.141 euro (circa 1.300 euro nette al mese). La media europea è di 26.852. Il divario cresce a fine carriera: 45.280 euro nella media Ue contro 36.157 in Italia, il 25% in meno che arriva al 30% nella secondaria di secondo grado. Eppure gli insegnanti italiani lavorano anche più degli europei: 22 ore settimanali nella primaria corrispondono a una media Ue di 19. Anche nella secondaria di secondo grado si hanno 18 ore italiane contro 16 nella Ue. Renzi, ancora ieri, ha promesso una riforma nuova di zecca. Con tali precedenti, difficile stare sereni.
Da Il Fatto Quotidiano del 6 agosto 2014