Uno dei principali problemi nel traffico di armi che vede coinvolte anche diverse banche estere resta la tracciabilità e soprattutto i dettagli delle varie operazioni. Tutti i report che si pubblicano sull’esportazione di armi, da quello dell’Unione Europea al dato Istat e alla relazione della Presidenza del Consiglio, non permettono di capire che tipo di merce è stata venduta. A guidare la classifica delle banche armate (relazione annuale della Presidenza del Consiglio), c’è il gruppo francese Bnp Paribas con oltre 1.050 milioni di euro (la parte più consistente delle operazioni è svolta da Bnp Paribas Succursale Italia, quasi 942 milioni di euro pari al 34,1%, mentre la controllata Banca Nazionale del Lavoro ne ha svolti per oltre 108 milioni di euro; per un totale di 1050 milioni). Al secondo posto la banca tedesca Deutsche Bank che ha assunto operazioni per oltre 743 milioni di euro (il 26,9%). Al terzo posto UniCredit che nell’insieme ha assunto autorizzazioni per quasi 541 milioni di euro (il 19,6% sul totale).
Ma al di là delle cifre da capogiro non si conoscono delle informazioni sensibili. Se da un lato le banche vengono tutelate in un sistema di autorizzazione di concessioni armiere verso altri Paesi, dall’altro lato un ingente commercio illecito di armi va a implementare sempre più le guerre soprattutto nei paesi instabili del Medio Oriente e dell’Africa. Si parla di “Armi comuni” che l’Italia ha esportato con estrema facilità, come le pistole semiautomatiche modello Beretta PX4 Storm o le carabine semiautomatiche modello Beretta CX4 Storm o i fucili Benelli modo M4 cal.12. Nel 2009 l’azienda bresciana ha esportato, con regolare licenza, alla Direzione della Pubblica Sicurezza del colonnello Gheddafi.
Armi di cui nessuno avrebbe saputo niente se non ci fosse stato un errore di trascrizione (e come tale riportato nella Relazione annuale dell’Ue) da parte delle autorità di Malta dove sono transitate che ha insospettito le associazioni attente al controllo delle esportazioni militari come la Rete Disarmo. Ma un ulteriore passo sta per essere compiuto. A settembre saranno presentati i dati di iTrace, un progetto finanziato dall’Unione Europea (Decisione 2013/698/PESC del Consiglio Europeo) che fornisce informazioni precise e verificate su trasferimenti illeciti di armi leggere e di piccolo calibro, armi convenzionali e relative munizioni.
Il sistema iTrace localizza nello spazio (attraverso coordinate Gps) i dati raccolti sul campo dai team investigativi di Conflict Armament Research (Car). Tramite l’aggregazione di dati comparabili estrapolati da migliaia di casi individuali, iTrace è in grado di generare metadati riguardanti diversi tipi di armi illecite, la loro origine ed i relativi canali di fornitura. In tal modo, permette di individuare rischi di diversione potenziale, di identificare le principali rotte dei traffici ed i punti deboli, in termini di portata e implementazione, degli strumenti di controllo delle armi già in vigore a livello nazionale, regionale, ed internazionale. Le investigazioni sulle armi sono condotte triangolando varie tecniche investigative: interviste con utilizzatori di armi (ad esempio soldati di forze ribelli), analisi della documentazione associata (per esempio analizzando marchi sugli imballaggi, note di carico, attestati di spedizione aerea o navale; documenti doganali), analisi dei dati forniti da produttori di armi, esportatori o agenzie nazionali di difesa, sicurezza, e intelligence.
Per ogni arma sotto osservazione le investigazioni si propongono di chiarire la catena di fornitura dal punto di produzione fino al passaggio dell’arma nella sfera del possesso e dell’utilizzo illeciti. Una volta verificata la catena di fornitura tramite una rigorosa procedura di verifica, Car diffonde i dati analizzati tramite il sistema di pubblico accesso iTrace. Il sistema colloca quindi su una mappa geo-spaziale la storia dei trasferimenti di ciascuna arma. Una vera e propria innovazione per tracciare le armi lungo tutta la filiera.