Nata "Claude" in Tunisia, diventò Claudia dopo essere stata notata su una spiaggia. Tra i suoi amici e colleghi ci furono Visconti, Gassman, Fellini, Renato Salvatori, Alain Delon e poi "il bellissimo Marcello". Racconta della sua famiglia numerosa, il trasferimento in Italia dalla Tunisia e infine la figlia, nata dalla relazione con Pasquale Squitieri: "E' bellissima, ha gli occhi del padre"
È la risata, più di ogni altra cosa. E quell’accento un po’ così, un francese che non è mai diventato italiano. Una delle più grandi attrici di sempre, sicuramente per vent’anni considerata la più bella, sofisticata, con gli occhi imprevedibili e un broncio che fecero cadere i cuori di Burt Lancaster, Alain Delon, Marcello Mastroianni. Solare, oggi che la vita le ha regalato, dopo il successo e una montagna di quattrini, anche le rughe. “Me le coccolo”, racconta. Come le disse la madre: “Tu le copri con il sorriso”. E quel sorriso che, nell’estate del 1957, a Tunisi dove nacque Claude prima di diventare Claudia, trovò un’improvvisa strada che non aveva richiesto né voleva: il cinema. In Italia era una corsa verso Roma, la fabbrica di Cinecittà rappresentava il grande riscatto dopo la guerra. Il cinematografo era, anche grazie a Brigitte Bardot, Grace Kelly, James Dean, l’illusione di un futuro che si lasciasse alle spalle le macerie e e la fame. Erano appena tornati sulle tavole l’olio e il burro.
Madame Claude, partiamo dall’estate della sua vita?
Sono felice, è una delle poche persone che mi chiama col mio nome. Claude. Io nasco Claude, mia sorella Blanche. Poi, dalla Tunisia, seppur di origini italiane, quando ci siamo trasferite diventammo Claudia e Bianca. Ma sono nomi d’arte. Cosa mi chiedeva?
Dell’estate e altre quisquilie, la prima stagione che ricorda, e quella più bella.
La prima è sicuramente lo sbarco degli alleati in Tunisia. Ero molto piccola, ma ricordo che un soldato, probabilmente aveva lasciato a casa i figli, prese me e mia sorella, ci strinse forti a lui. Non capivamo, ma ce lo ricordiamo benissimo. Piangeva. Era la prima volta che vedevo un adulto piangere, non comprendevo, allora, ma capivo. È una di quelle cose che ti rimangono cucite nella memoria per sempre. Era molto caldo.
E quella piacevole?
Estate 1957, festival del cinema di Venezia. Fu lì che nacque Claudia Cardinale. Per un motivo semplice, andai in spiaggia e indossai il bikini, in Tunisia, allora avamposto francese, era assolutamente normale. I paparazzi impazzirono, mi saltarono addosso, foto a ripetizione, ogni momento della giornata. Era l’anno delle Notti bianche di Luchino Visconti. Forse incrociai per la prima volta gli occhi di quello che sarà tra i miei più cari amici, Marcello Mastroianni, aspirante fidanzato.
Questa ce la racconta dopo?
Non so se posso. Vediamo. Dicevo il bikini. Tutti impazziti. Poi un giornalista di Epoca mi chiese se fossi lì perché volevo fare cinema. Non ci penso nemmeno, risposi. E in copertina divenni la ragazza che non vuole fare cinema.
Lei si disinteressava al cinema: perché nel 1957 finisce allora alla mostra?
Molto banalmente, per una serie di coincidenze. Quell’anno, in luglio, a Tunisi si svolse il concorso per la ragazza italiana più bella di Tunisi. Io ero nel retropalco a giocare con un’amica. Alla fine, e non so perché, ma in cinque minuti mi portarono su e mi misero la fascia al collo. Ma io non mi ero neanche iscritta.
E Venezia che cosa c’entra?
Il premio era un viaggio a Venezia, per due persone, in contemporanea alla mostra. Io arrivai con mia madre e mi metto a prendere il sole, del cinema e dei film non mi interessava proprio.
Dunque deve il successo a un giornalista e a un fotografo?
In parte è vero. E al bikini, senza quelle foto non ci sarebbe mai stata Claudia, sarei rimasta Claude.
Quando rientra a casa cosa accade?
Che mio padre viene sommerso dai telegrammi, gli chiedono di farmi firmare con questo o quel produttore.
Facciamo un salto avanti nel tempo: Marcello Mastroianni. Accennava a un flirt?
No, non c’è mai stato niente. Le racconto però una cosa che in pochi sanno. Lui mi fece una corte spietata, fiori, biglietti, lettere, cartoline. Un uomo di una classe che non saprei come raccontare. Era bellissimo. Ma io non ho mai ceduto. Erano le raccomandazioni della mia famiglia. Dissi no. Poi a me piaceva Franco Cristaldi, il produttore che sarebbe diventato il mio compagno. Insomma, lo rifiutai. Anni dopo, viviamo tutti e due a Parigi, girano un film su Marcello. E chiamano anche me. Una specie di candid camera, io d’accordo col regista lo aspetto in una stanza, ma è una sorpresa. Lui, appena mi vede, dice: sei una scema, io ero innamorato davvero, non mi hai preso sul serio, ho sofferto anni.
E lei?
Ridevo. E sottovoce, Marcello, zitto, ci stanno riprendendo le telecamere. No, ma non ci sentiva, andava avanti. Tra il serio e il faceto. Poi lo convinsi a calmarsi. Quello spezzone non è mai andato in onda, ovviamente.
Neppure un bacio. Mai ceduto a una tentazione. Lei era la più bella, ma le giravano attorno gli uomini più belli del cinema mondiale.
Mai.
Non le credo.
Deve crederci. Inoltre lei è fortunato, se non mi crede la chiudiamo qui.
Perché fortunato?
Mi ha chiamato Claude e ho accettato l’intervista, non rilascio in genere interviste così, al primo che chiama al mio telefono di casa. Poi domani devo partire.
Torniamo a Mastroianni. Insieme a lui, a Totò, Vittorio Gassman, Renato Salvatori e molti altri gira “I soliti ignoti”. Loro erano all’apice del successo, sarebbero entrati da lì a breve nella storia della commedia all’italiana. Non la imbarazzava?
Ero assolutamente a mio agio. Anche perché non capivo niente.
In che senso?
Non parlavo una parola d’italiano. Vedevo questi signori gesticolare, a volte ero impaurita perché pensavo che litigassero, invece stavano recitando.
Totò?
Sì, lui più degli altri. Ma la cosa più buffa avvenne con quell’attore che faceva il mio corteggiatore.
Renato Salvatori.
Sì. Io devo sbattergli la porta in faccia perché nel film ho un fratello siciliano, geloso.
Tiberio Murgia.
Esatto. E non solo gli sbatto la porta in faccia, ma lo colpisco con un pugno. Ci aggiungo del mio. A quel punto il regista, Mario Monicelli, viene da me e dice: “Claudia, questo è il cinematografo, non è la realtà”. Ma io ero un maschiaccio da ragazzina, e in quel film ero davvero ragazzina. Ero cresciuta coi ragazzi nelle strade di Tunisi, giocavo a calcio. Sì, diciamo che ero assolutamente aggressiva. Poi le ripeto, a me pareva che litigassero tutti in quel set, in continuazione. Invece non era così. Era solo il modo di recitare all’italiana, il gesticolare, alzare i toni della voce. Da lì a breve mi adeguai. Ma quella era la mia prima esperienza in Italia.
Lei è una donna solare, si capisce che gli uomini cadevano ai suoi piedi.
Sorridevo. Mi sente? Sorrido ancora oggi. Ero curiosa, allegra. Uscivamo dalla guerra, ritrovavo l’Italia, che poi era il mio paese.
La prima tappa dopo il trasferimento da Tunisi?
In Sicilia. Siamo originari di lì. L’Isola delle Femmine. Perdevo i profumi della Tunisia, ma trovavo un altro posto fantastico del quale avevo sentito parlare nei racconti a casa.
Eravate una grande famiglia?
Sì, noi siamo quattro fratelli. C’è Blanche, Bruno e Adriano. Poi c’erano i genitori, gli zii. Una piccola tribù.
E a Roma quando arriva?
Poco dopo ‘I soliti ignoti’. Frequento il centro sperimentale di cinematografia. Ospite da una zia. Mi ricordo che si raccomandava: quando prendi l’autobus stai attenta alla mano morta. Non capivo. E non sapevo cosa volesse dire mano morta. Me ne accorsi il primo giorno. Poi fui attenta.
Di lì a breve continuerà a girare capolavori. Prima con Pietro Germi, poi la parentesi del Bell’Antonio con Bolognini, poi Rocco e i suoi fratelli.
Un cast strepitoso, in quest’ultimo. Annie Girardot, Adriana Asti, Paolo Stoppa, un grandissimo attore. E poi Alain Delon. Sa che siamo ancora amici?
Vi frequentate?
Ci vediamo molto spesso, a casa, qui a Parigi. Io, lui e Jean Paul Belmondo. Ci troviamo, parliamo dei figli, del cinema. Del cinema francese, perché i film italiani, che adoro, non arrivano più in Francia. Non ci sono più produzioni congiunte, come accadeva allora.
Poi arriva 8 e mezzo. Vince il premio Oscar come miglior film straniero.
Con Federico Fellini e ancora una volta con Marcello.
Luchino Visconti, il Gattopardo.
Sì, e un altro grande corteggiatore, Burt Lancaster. Non capivano in Italia come un cowboy avesse potuto recitare il ruolo di un nobile. Non fu così, era un grande attore, fu bravissimo. Come del resto il solito Alain.
Gli uomini della sua vita?
Cristaldi. E Pasquale, Pasquale Squitieri.
State ancora insieme?
Non più. Ma abbiamo una figlia, ci sentiamo ogni giorno. È sicuramente la persona più importante.
Che mamma è?
Molto italiana. Più Claudia che Claude. Ci sentiamo dieci volte al giorno.
Deve essere bellissima.
Lo è. Ha gli occhi del padre.
Grazie madame Claude. Sembrerebbe un’antidiva da come ride, ma in realtà è la più diva di tutte.
È il mio segreto. Ma non lo dica a nessuno.