Stamattina sulla sua pagina Facebook, Marina Terragni postava: “Quante fra noi, avrebbero fisicamente paura nel dire al proprio uomo: ‘Ti lascio?'” commentando un agosto di violenze contro le donne, simile agli altri mesi che lo hanno preceduto. Molte donne le hanno risposto di non avere alcuna paura ma altre le hanno scritto in privato.
Mary Cirillo, 36 anni, è l’ultima donna uccisa in ordine cronologico. E’ accaduto a Monasterace ma altre, prima di lei, sono cadute sotto la furia dei compagni con i quali avevano diviso la loro vita. Lo sappiamo già: altre cadranno e non per un’improvvisa emergenza femminicidio ma a causa di un fenomeno culturale che accompagna da millenni le relazioni tra uomini e donne. Antonietta Romeo, 40 anni, è stata uccisa dal marito a Sarzana; Jennifer Miccio, 30 anni è stata investita da un amico a Barberino del Mugello; a Perugia nel reparto di rianimazione dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia, è morta Ilaria Abbate, 24 anni, l’ex marito le aveva sparato ferendola gravemente lo scorso mese di luglio. Il 18 agosto Angela Mihaela Balaie è stata ferita dal marito a Marina Palmense ed è ricoverata in gravissime condizioni. Il 9 agosto scorso, altre due donne sono state uccise a Como e a Fiumicino dal figlio e dal marito.
Nonostante ci sia un calo (la Casa delle Donne di Bologna ha rilevato 42 donne uccise dall’inizio dell’anno) è troppo presto e anche troppo poco per concludere che si sia verificato un cambiamento profondo. I femminicidi si ripetono ancora con troppa frequenza e la violenza contro le donne non è ancora rilevata efficamente, a dispetto dei dati snocciolati dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che sono parziali. In Italia manca ancora un Osservatorio Nazionale sulla violenza come richiesto invano nello Shadow report del 2011 e dalla convenzione No More nel 2012 che hanno sottolineato l’importanza di disporre di dati disaggregati sul fenomeno della violenza. Nel nostro Paese non esiste un sistema di rilevazione integrato, sistematico ed omogeneo che su tutto il territorio nazionale raccolga dati da forze dell’ordine, pronto soccorso, servizi socio-sanitari, 1522 e centri antiviolenza. L’ottimismo del ministro Alfano inciampa sulla banale osservazione che un calo di denunce non necessariamente corrisponde ad un calo delle violenze.
La rabbia e la distruttività maschile esplodono e colpiscono uccidendo compagne, amanti, amiche anche per un desiderio non corrisposto oppure si accanisce su donne che si prostituiscono o sono prostituite come fossero cose e non persone.
Per troppe donne una relazione conflittuale con un uomo può degenerare in una violenza subìta che in casi estremi può condurle alla morte. Troppi uomini non tollerano il conflitto nella relazione con una donna perché mette a nudo la loro vulnerabilità; il conflitto porta dolore, paura della dipendenza e dell’abbandono, senso di solitudine e troppe volte la risposta a questi sentimenti è una violenza feroce. Nemmeno la paternità o l’affetto per i figli ferma questi uomini, nemmeno il pensiero delle conseguenze sulle loro vite.
Il corpo di Mary è stato scoperto dalla figlia di appena dieci anni mentre il padre dopo averle assassinato la madre, fuggiva. I femminicidi sono il frutto velenoso dell’incapacità degli uomini di vivere i conflitti con le donne perché l’identità maschile è costruita sulla base di un rapporto di dominio sulle donne e sulla pretesa subalternità del ruolo femminile.
“Che uomo sei se non sei meglio di una donna?”: diceva l’altroieri, lasciandomi basita, un signore in spiaggia. Impartiva questa educazione “di genere” al figlio quindicenne mentre la moglie sedutagli accanto sulla sdraio rimaneva in silenzio, indifferente a quella cultura che ha impartito anche a lei la lezione: “Che uomo è, un uomo che non sia meglio di una donna?”.
Le donne per secoli sono venute a patti col potere maschile incassando sconfitte, mediando, accettando, dialogando o configgendo con quel potere, e molte ci si sono alleate o si sono arrese. Hanno coltivato l’attitudine a confrontarsi quotidianamente con sofferenza e frustrazioni, imparando a morire interiormente e a rinascere, creando per se stesse, nelle situazioni più disperate, vite parallele, reali o immaginarie. Gli uomini no. Non hanno mai dovuto apprendere quest’arte e non hanno gli strumenti culturali per esercitarsi nel conflitto con le donne. Violenze, stupri, uccisioni sono il loro veto al conflitto e a una relazione fondata sulla reciprocità. Ci vuole un cambiamento culturale ma occorre tempo e un impegno costante e profondo.
La morte di queste donne rivela che la legge cosiddetta “sul femminicidio” focalizzata sull’intervento securitario non è sufficiente a contrastare pienamente il fenomeno. Angela Mihaela aveva sporto due denunce ed ora lotta tra la vita e la morte perché l’azione penale da sola non basta e non può essere l’unica risorsa proposta alle donne.
Il Rapporto sull’attuazione della Piattaforma d’Azione di Pechino sul quinquennio 2009-2014, presentato il 24 luglio scorso dall’Associazione nazionale D.i.Re e altre organizzazioni non governative che lavorano ogni giorno in Italia per i diritti delle donne, denuncia che Cosa è stato veramente fatto in Italia. Una contro-relazione rispetto a quella fatta dal Governo che analizza le lacune della politica italiana. Il problema della violenza contro le donne non viene affrontato con misure di prevenzione integrate: “L’immediata protezione delle donne vittime di violenza non è garantita in maniera continuata ed omogenea sul territorio italiano perché ancora si sottovaluta la pericolosità dei comportamenti degli autori di violenza, troppo spesi confusi come manifestazione di conflitto nella coppia”. Sul piano della prevenzione non si fa abbastanza mentre il Governo, patologicamente chiuso in una sorda autoreferenzialità, va avanti a colpi di demagogia con decretazioni di urgenza e spot mentre la violenza contro le donne trova ancora nutrimento nella cultura e nella nostra società.
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