Mondo

Iraq, il Guardian: “L’assassino di Foley è di Londra e si fa chiamare John”

Secondo un ex ostaggio intervistato dal giornale inglese l'assassino del reporter è a capo di un gruppo di jihadisti che fanno da carcerieri degli ostaggi stranieri rapiti in Siria: "Li chiamavamo i Beatles proprio perché sono inglesi. Il capo è intelligente e istruito". Il direttore del Global Post (per cui lavorava l'inviato americano): "Una settimana fa avevamo ricevuto un segnale dai sequestratori che minacciavano di ucciderlo"

L’accento britannico del “boia” dell’Isis potrebbe avere già un perché. L’uomo vestito di nero che ha decapitato il giornalista americano James Foley è il leader di una cellula di tre combattenti inglesi che operano in Siria. Si fa chiamare John e si sospetta che possa provenire da Londra. A sostenerlo è la versione online del Guardian che cita fonti dirette. Secondo un ex ostaggio, infatti, “John” è a capo di un gruppo di jihadisti britannici che a Raqqa – città della Siria roccaforte dello Stato islamico – operano come carcerieri delle persone sequestrate. Tanto inglesi che gli stranieri rapiti, durante la prigionia, li avrebbero soprannominati i “Beatles“. Proprio il capo-cellula, il presunto assassino del reporter statunitense, è stato – secondo quanto spiega il Guardian – il negoziatore per il rilascio di 11 ostaggi dell’Isis, consegnati a funzionari turchi dopo il pagamento di un riscatto. L’ex ostaggio, rimasto per un anno a Raqqa, ha raccontato al giornale inglese che il jihadista responsabile della morte di Foley è intelligente, istruito e un seguace devoto degli insegnamenti dell’Islam radicale. Un fenomeno tutt’altro che raro, come per ssempio dimostrano i 9 arresti avvenuti proprio oggi, 20 agosto, in Austria. E d’altra parte se gli elementi raccolti dal Guardian sono tutti da verificare, confermano quanto esperti di antiterrorismo e analisti linguistici indicano, sottolineando che potrebbero essere fino a 500 gli estremisti di nazionalità britannica “irretiti” dall’Isis dopo essersi recati a combattere in Iraq e Siria. E i britannici sarebbero “tra i combattenti più feroci, secondo Shiraz Maher del centro internazionale di studi sulla radicalizzazione al King’s College di Londra.

Dagli Stati Uniti, intanto, rimbalza la notizia che mercoledì scorso, 13 agosto, dopo l’inizio dei raid Usa, la famiglia di Foley aveva ricevuto una comunicazione da parte dei sequestratori che il loro figlio sarebbe stato ucciso. A raccontarlo alla Nbc è stato il direttore del Global Post, Phil Balboni. Foley era in Medio Oriente per conto del Global Post. Intervistato da una rete locale di Boston, lo stesso Balboni ha rivelato che anche il suo giornale aveva ricevuto il 13 agosto un messaggio email dallo stesso tenore da parte dei rapitori di Foley. “Facevano conoscere l’intenzione di ammazzarlo”, ha detto Balboni a NewsCenter 5, aggiungendo che “la Casa Bianca era stata messa al corrente della minaccia, ma non ci sono stati negoziati”.

I servizi di intelligence britannici e americani, dunque, ora sono al lavoro insieme per identificare la mano che ha decapitato Foley. Il video è autentico dice la Casa Bianca. E’ stato poi il primo ministro britannico David Cameron, a confermare che sì, “sembra sempre più probabile che sia britannico” l’estremista vestito di nero che avrebbe decapitato Foley. E l’incubo torna a Downing Street: è l’estremismo ‘cresciutò in casa. “Sono fin troppi i britannici che vanno in Siria ed Iraq per unirsi alla jihad, ripete il premier: “dobbiamo aumentare gli sforzi per fermarli”. Londra parla da mesi di come l’avanzata dell’Isis, la corsa del califfato estremista, costituisca una “minaccia diretta per la sicurezza nazionale”. Lo ricorda il ministro degli Esteri Philip Hammond: il governo è consapevole della presenza di britannici “in numeri significativi” tra gli estremisti che operano all’estero. “Su questo stiamo lavorando da molti mesi e non credo che questo video cambi particolarmente le cose, se non nel rafforzare la consapevolezza di una situazione molto grave”.

Resta tuttavia l’allarme a Londra, che non dimentica la violenza subita “in casa” con gli attentati nel 2005. Scotland Yard, cui fa capo l’unità antiterrorismo della polizia britannica, è mobilitata: conferma di essere impegnata nelle indagini relative al video che mostra l’uccisione del giornalista americano e invita ad evitare la diffusione delle immagini sul web, soprattutto attraverso la condivisione su social media come Twitter e Facebook, ricordando che ciò potrebbe costituire reato nel Regno Unito secondo la legge antiterrorismo.