Una bomba, in grado di provocare una strage. Un chilo di tritolo destinato ad un grossista di frutta e verdura di Fondi, la città crocevia delle mafie in provincia di Latina, a cavallo tra il Lazio e la Campania. Mandanti per ora ignoti, “ma sicuramente legati alla criminalità organizzata di livello nazionale”, spiegano gli investigatori pugliesi che hanno bloccato mercoledì mattina l’attentato, arrestando quattro persone, tre albanesi e un italiano. Erano i semplici esecutori, ‘gli sgherri’, pagati da mandanti di ben altro livello: “Se quell’ordigno fosse esploso si rischiava una strage”, commentano gli uomini del Gico pugliese, intervenuti sull’autostrada A14, fermando il commando pronto ad agire.

Nelle stesse ore a Latina si sparava. Martedì cinque colpi di pistola hanno raggiunto una pizzeria ben nota in città, Già sai nella zona del Lido, segno evidente di intimidazioni. E qualche ora dopo, nella giornata di mercoledì, vicino allo stadio un tabaccaio è rimasto a terra, gambizzato. Il mondo criminale del sud pontino sembra essersi improvvisamente risvegliato. Due processi hanno raccontato il territorio a sud di Roma come il terreno di conquista delle mafie. L’inchiesta Damasco – conclusasi con decine di condanne, alcune per associazione mafiosa – ha disegnato la mappa del territorio di Fondi, il comune che l’ex ministro Maroni voleva sciogliere per infiltrazione mafiosa, poi bloccato in extremis in consiglio dei ministri. E ancora il processo Caronte, che ha portato a due secoli complessivi di reclusione per i clan Sinti di Latina, le famiglie Ciarelli e Di Silvio, nomadi ormai radicati da decenni nella città pontina.

E’ stato il punto di svolta, la certificazione della presenza delle mafie nel sud del Lazio. Non solo la ‘ndragheta – rappresentata dai fratelli Tripodo, figli di don Mico, capobastone storico di Reggio Calabria, emigrati a Fondi negli anni ’70 – non solo la camorra, attiva all’interno del mercato ortofrutticolo sud pontino, gallina dalle uova d’oro per tantissimi anni, snodo logistico strategico, posto a cavallo tra la capitale e la provincia di Caserta. A Latina, raccontano i processi, è nata e cresciuta una malavita locale in grado di allearsi – fino a contrapporsi – con le organizzazioni storiche campane e calabresi, gestendo estorsioni e spaccio, investimenti e locali. Gli ultimi attentati – tra Fondi e Latina – mostrano uno scenario preoccupante. L’apparente equilibrio sembra essersi rotto, con le ali militari pronte a rimettersi in azione. A Fondi non si ricorda una potenza di fuoco così eclatante – un chilo di tritolo -, gli attentati degli anni scorsi si limitavano all’incendio di qualche azienda agricola o delle automobili dei politici locali ritenuti scomodi.

A Latina i precedenti sono invece più netti. Il processo Caronte partì dalle indagini seguite al duplice omicidio di Massimiliano Moro e Fabio Buonamano, episodi di una guerra criminale iniziata nel 2010 con un attentato al capoclan Carmine Ciarelli (poi condannato a 21 anni di reclusione). Oggi la provincia di Latina è rappresentata – come non mai – nella commissione antimafia. Ne fanno parte il senatore Pd Claudio Moscardelli, al suo primo incarico parlamentare e il ben noto senatore Claudio Fazzone, di Fondi. Fu proprio lui a difendere a spada tratta la città del sud pontino dallo scioglimento per mafia, sostenendo apertamente che la criminalità organizzata da quelle parti non ha mai messo le radici. Per lui e per il suo partito – Forza Italia – il vero problema era il prefetto Bruno Frattasi, l’autore della corposa relazione che chiedeva la destituzione dell’intero consiglio nella sua Fondi.

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