Pochi giorni fa Maryam Mirzakhani, di 37 anni, professoressa alla Standford University, è stata la prima donna, oltre che la prima persona di cittadinanza iraniana, a vincere la Medaglia Fields, titolo equiparato al “nobel per la matematica”, per “i suoi contributi eccezionali alla dinamica e alla geometria delle superfici di Riemann e dei loro spazi di moduli…”. Il Congresso internazionale dei matematici della International Mathematical Union (IMU) si tiene ogni quattro anni e in tale occasione assegna la Medaglia Fields, considerata come il più alto riconoscimento che un matematico, uomo o donna, che non abbia superato l’età di 40 anni, possa ricevere. Oltre a lei altri tre uomini hanno ricevuto questa onorificenza.
Perché non si vedono molte donne in questo settore e quindi lei è un buon esempio da seguire?
Perché è di origine iraniana e si pensa che in Iran le donne vivono solo segregate dietro un velo dedite unicamente alla famiglia? Perché questa professoressa iraniana si presenta al mondo, al contrario di ogni stereotipo sul suo paese, in maniera essenziale, sorridente, insegnando in un perfetto inglese in una università americana in California oserei dire in perfetto stile occidentale?
O forse perché in Iran sui giornali locali hanno evidenziato la notizia del suo riconoscimento coprendole la testa con un velo nella foto ufficiale che è stata utilizzata a livello internazionale grazie a Photoshop? Un quotidiano ha persino ‘sfumato’ i capelli della professoressa in una lavagna con numeri e formule.
No hair, no ears, no neck From left: 1- Original 2- Edited 3- Published in @SharghDaily pic.twitter.com/OC4lnVBDg7
— Sobhan Hassanvand (@Hassanvand) 14 Agosto 2014
Il presidente iraniano Rohani invece si è congratulato con lei con un tweet all’avanguardia composto da una foto doppia, una con e una senza velo.
Congrats to #MaryamMirzakhani on becoming the first ever woman to win the #FieldsMedal, making us Iranians very proud pic.twitter.com/oVL98NRdVF
— Hassan Rouhani (@HassanRouhani) 13 Agosto 2014
La questione vera forse è altrove. Maryam Mirzakhani al momento dell’assegnazione ha dichiarato: “È un grande onore. Spero che questo incoraggi giovani scienziate e matematiche donne. Sono sicura che nei prossimi anni molte altre donne vinceranno questo tipo di premi.”
Questo riconoscimento testimonia che non ci sono barriere di genere alla capacità creativa nella scienza, le barriere sono invece nelle opportunità che si offrono ai diversi generi: prima di tutto dalle famiglie verso i propri figlie e figlie, poi dagli Stati con le loro politiche più o meno a sostegno dei sistemi scolastici, universitari e di ricerca, con o senza velo.
A seconda di dove si è, sia donne che uomini possono partecipare al progresso della scienza e “volenti o nolenti” anche all’evoluzione dei “costumi” e delle culture.
In Italia come siamo messi? Nel nostro Paese la carriera scientifica spesso viene scartata a priori dalle stesse giovani donne che si arrendono prima di cominciare, le famiglie di certo non le incoraggiano visto che il sistema universitario e della ricerca generalmente le supporta ancora meno. Secondo il Rapporto sull’attuazione della Piattaforma d’Azione di Pechino- Rilevazione quinquennale: 2009-2014 scritto da diverse associazioni e curato da Fondazione Pangea si riporta: “Se si considera il livello universitario, sono stati realizzati grandi progressi in Italia per le donne, che oggi rappresentano il maggior numero tra gli iscritti, ottengono i voti migliori (1), si laureano in minor tempo (2). Le donne tuttavia continuano ad affrontare enormi difficoltà di accesso al mondo del lavoro universitario e nell’affermarsi nella ricerca accademica e nella carriera universitaria. Infatti pur rappresentando il 58% dei laureati, le ricercatrici universitarie sono 10mila su 24mila, le professoresse associate sono 5.600 su 16mila, le ordinarie solo 3mila su 14.457 e sono solo 5 le donne su 78 rettori in tutta Italia (3). Alcune facoltà di tipo scientifico sono considerate “maschili”, seppure si registri da alcuni anni una presenza femminile maggiore, nei fatti non garantiscono un pari trattamento durante il corso di studi (4) e nell’inserimento lavorativo nei settori della tecnologia avanzata e dell’innovazione. La scarsa valorizzazione delle donne nella ricerca scientifica contribuisce alla cosiddetta “fuga dei cervelli” all’estero maschili e femminili. Inoltre, molto forte è l’isolamento e l’esclusione sperimentate dalle ricercatrici “in quanto donne” (5). Infatti sono ancora diffusi lo stereotipo e l’idea ingiusta che non valga la pena investire nella formazione e attribuire fondi per la ricerca a favore di chi è destinata un giorno a diventare madre e ad occuparsi anche del lavoro di cura, sottraendo tempo alla ricerca.”
Maryam dovrebbe essere un esempio per tutte le giovani donne nel nostro Paese che vogliono avere a che fare con la scienza, con la consapevolezza che non sarà facile la loro strada, ma forse neanche impossibile. Questa donna così speciale traccia il segno dei nostri tempi racchiudendo in sé contraddizioni e stereotipi che allo stesso tempo supera, aprendo nuove prospettive:
“Si dovrebbero ignorare i frutti appesi in basso, che sono un pò ingannevoli. Non sono sicura che sia il modo migliore di fare le cose, in realtà nel frattempo ti rendi difficile da sola il percorso” – ha detto durante una intervista, sorridendo- “La vita non è fatta per essere semplice.”