Quattro Paesi coinvolti (Liberia, Sierra Leone, Guinea e Nigeria), circa 2500 casi accertati e oltre 1300 decessi. Quella in corso in Africa occidentale è l’epidemia di Ebola più grave di sempre. Antonino Di Caro – direttore del laboratorio di microbiologia dell’Istituto nazionale malattie infettive, che a maggio ha lavorato su un ambulatorio mobile nel cuore dell’epidemia – delinea i rischi per l’Africa e l’Italia.
Che cos’è l’Ebola?
Una febbre emorragica virale che infetta gli animali, ma qualche volta arriva all’uomo. Questa non è la prima epidemia, ma è la più letale.
Come si trasmette?
E’ una malattia della povertà perché, fin dalla sua scoperta negli anni 70, colpisce le zone meno sviluppate. Si trasferisce dagli animali attraverso l’abitudine a mangiare selvaggina. Una volta che arriva all’essere umano, si propaga con estrema facilità: è sufficiente un contatto diretto con il malato o col cadavere per contrarla.
Esistono cure adeguate?
No, al momento solo vaccini sperimentati sugli animali, ma nessuno di questi è stato applicato su larga scala sull’uomo. L’industria non ha mai avuto interesse a sviluppare le cure perché è una patologia che riguarda solo gli angoli poveri del globo. Per dirla con i farmacologi, è più facile vendere un farmaco per il raffreddore che un vaccino contro l’Ebola.
L’Italia ha qualcosa da temere?
Per l’Occidente i rischi sono contenuti. Il pericolo arriva dai viaggi aerei perché consentono l’arrivo di malati ancora asintomatici (il periodo di incubazione è di 21 giorni).
Avrebbe senso imporre restrizioni ai voli dai Paesi colpiti?
L’Oms non l’ha richiesto. Per l’Italia, poi, le sole rotte dirette sono quelle con la Nigeria, dove l’epidemia è contenuta.
Perché stavolta è così letale?
Il numero reale di morti è molto più alto di quello ufficiale. Il problema è che si tratta di una zona poverissima dove la popolazione non collabora con le autorità sanitarie e le Ong.
Cosa rappresenta quest’epidemia per uno scienziato?
Per un virologo l’opportunità di studiare l’Ebola dove si sviluppa è uno stimolo, il coronamento di dieci anni di lavoro in laboratorio. Peccato sia difficile fare sperimentazione in Africa. Avremmo voluto testare farmaci e vaccini che finora sono stati usati solo sugli animali, ma le autorità sanitarie locali si sono opposte. Sembra incredibile, ma sono necessari gli stessi permessi richiesti in Europa. Stiamo comunque cercando di avviare la sperimentazione anche con farmaci estremamente innovativi.
In che senso innovativi?
Nel senso che non sono stati sottoposti alle stesse fasi sperimentali degli altri farmaci destinati agli esseri umani.
da Il Fatto Quotidiano del 21 agosto 2014