Questo agosto non verrà ricordato solo per uno dei mesi meno estivi della storia, ma anche per il caos che sta distinguendo il governo Renzi sugli indirizzi di politica economica.
Si sprecano infatti gli esempi di quanto sia grande la confusione in materia. E impressiona, in particolare, la contraddittorietà delle ricette manifestate nelle ultime settimane da altrettanti esponenti e collaboratori dell’esecutivo per far quadrare i conti e tornare a far crescere il paese.
Ciò, a fronte dell’unica certezza: alla luce dei macroscopici errori nelle stime del Def, servirà una robusta manovra perché l’Italia possa riuscire a rispettare il 3% nel rapporto tra debito pubblico e Pil.
Due i fronti sui quali Renzi sarà chiamato a fare i salti mortali: contenimento della spesa e stimolo alla crescita. Ed è proprio su questi due assi che se ne sono sentite e lette di tutti i colori.
Impossibile non partire dalla sparata del vicepremier Alfano, che, per dare una scossa all’economia, chiede una misura tanto cara ai “padroni” del nordest: l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il tutto, perentoriamente, entro agosto. Passano alcune ore e Alfano viene prima smentito dallo stesso presidente del consiglio e poi dal ministro del lavoro Poletti. Il quale, in una tensione tutta italiana al tafazzismo, non si limita a sbarrare la strada, almeno nell’immediato, a qualsiasi ipotesi di cancellazione dell’articolo 18. L’ex capo di Lega Coop rilancia e butta nel calderone delle fantasiose proposte agostane per racimolare qualche miliardo anche il taglio delle “pensioni d’oro”. Dimenticandosi però di specificare a partire da quale soglia una pensione possa considerarsi d’oro e gettando così nel panico milioni di pensionati.
Sulla testa di chi alla pensione arriverà in posizione orizzontale piove subito dopo un’altra ipotesi, formulata da un signore che è stato descritto come l’esponente più autorevole della cabina di regia economica che Matteo Renzi vorrebbe a Palazzo Chigi: far scendere gli stipendi “anche sotto il minimi contrattuali”. L’autore della boutade estiva, al secolo Guido Tabellini, giustifica così la sua sparata: “Sempre meglio che avere una disoccupazione alta o un lavoro a tempo determinato“.
Peccato che l’insigne studioso finga di ignorare, come già sostenuto su questo blog, che il costo del lavoro in Italia è inferiore a quello medio in Europa: 28,1 euro per ora lavorata, contro i 28,4 della media in Europa, i 34,3 della Francia, i 31,3 della Germania, i 33,2 dell’Olanda, i 38 del Belgio, i 40,1 della Svezia.
E se ciò non bastasse, come mostra una recentissima pubblicazione di Eurostat, il reddito medio netto di una famiglia italiana composta da due figli e con un solo componente occupato, è già tra i più bassi nel panorama europeo: 23.500 euro contro i 26.500 dell’area UE-27, i 35mila della Germania, della Gran Bretagna e dei Paesi Bassi, i 30mila della Francia.
E pensare che, senza intaccare le tasche già vuote degli italiani, la spending review, per ora tanto evocata a parole dallo stesso governo Renzi, potrebbe dare frutti, seppur nell’arco di un medio periodo. Ma anche su tale fronte abbiamo recentemente assistito a cose dell’altro mondo. A cominciare dalla pubblica sconfessione dell’operato di Cottarelli da parte del premier Matteo Renzi in persona. Con il risultato che il commissario straordinario alla revisione della spesa naviga ora a vista e i progetti di ristrutturazione della spesa in stato di avanzamento o già presentati – come quello sulle partecipate – rischiano di rimanere nei cassetti del presidente del consiglio, come capitò a quelli di Giavazzi. Il cui lavoro, differentemente da quanto ha sostenuto un collaboratore del ministro Guidi alcuni giorni fa su twitter con spocchia tipica del miglior renzismo che avanza, rappresentavano tutt’altro che “il nulla assoluto” o una “corrazzata Potemkin” di fantozziana memoria.
Di fantozziano c’è invece da registrare il comunicato stampa che Padoan ha dovuto diffondere per chiarire come le posizioni espresse dal sottosegretario Enrico Zanetti sul quotidiano Libero in merito all’opportunità di sforare il rapporto deficit/Pil fossero “del tutto personali e non rappresentano la posizione del Ministero dell’Economia e delle Finanze”.
In tutto ciò si sono perse le tracce del ministro Federica Guidi, che ha però recentemente contribuito a dare un tocco di comicità all’azione di governo sulle politiche economiche. Dopo aver anticipato, il 27 marzo scorso, l’imminente costituzione di una task force sulla politica industriale, il 6 agosto, a circa 130 giorni dall’annuncio, è tornata sul tema sottolineando che “proprio in queste ore stiamo lanciando una task force che dovrà ridisegnare la politica industriale, tra i cui membri ci sono Roland Berger e Giorgio Barba Navaretti”.
Non paga, la ministra ha pure fatto sapere che “il 29 lanceremo il più grande piano per il Made in Italy mai varato in Italia”. Un annuncio che ha del clamoroso, fatto com’è da chi, a capo della azienda di famiglia, ha delocalizzato. Pardon, multilocalizzato.
@albcrepaldi