Nel mondo della globalizzazione non sono solo le condizioni delle carceri a dirci qual è il livello di democrazia di un paese ma anche le sue frontiere. E le frontiere dell’Europa sono un parametro interessante per capire cosa stia diventando e diventerà questo continente. Alcune settimane fa, mi ha colpito molto una notizia dell’Ansa che così descriveva la situazione di Melilla, enclave spagnola della fortezza Europa, in Marocco: “Spagna: 200 immigrati respinti a Melilla, ‘lame’ funzionano”. Le lame di cui si parla nell’articolo sono quelle del filo spinato utilizzate dagli eserciti della Nato ed hanno la straordinaria capacità di tagliare la pelle umana come rasoi. Chi ha messo queste “lame” è un Governo democratico che vuol difendere i propri confini da un “esercito” senza armi, composto in gran parte da profughi e richiedenti asilo.
Pensavo a questo paradosso mentre leggevo delle solite schermaglie tra il ministro Alfano e la commissaria dell’Unione europea Cecilia Malmstrom sul ruolo dell’Europa, sul destino di Mare Nostrum e di Frontex. Una discussione, questa, viziata da un errore di fondo che inquina l’intero dibattito. Prima ancora di questionare sulle varie missioni e sulle “problematiche legate all’immigrazione“, infatti, andrebbe aperta la discussione su una domanda fondamentale che questi flussi migratori determinano: l’Europa sempre impegnata a rispettare i diritti umani ritiene di poter rispettare principi e leggi solo in rapporto alle contingenze internazionali?
E’ vero, questa umanità in viaggio porta con sé un problema, una domanda che investe un intero continente che aveva basato le sue politiche migratorie solo rispetto alla dimensione economica legando la cittadinanza al lavoro. E’ vero l’Europa non aveva riflettuto a sufficienza sulla questione dei rifugiati e richiedenti asilo.
Se è così, però, la discussione non è se fare o meno salvataggi in mare, ma come evitare che queste persone debbano rischiare la vita per vedersi riconosciuto il diritto d’asilo. Chi oggi decide di richiedere asilo in Europa non fa la propria domanda ad una commissione da raggiungere facilmente in una ambasciata in Medio Oriente o in un campo profughi come vorrebbero le convenzioni e il buon senso. Prima di tutto deve passare la “lotteria” delle onde del mare, il “filtro” dei deserti, le lame del filo spinato. Per un profugo siriano che fugge dalle persecuzioni religiose non c’è nessun corridoio umanitario, nessun percorso protetto, solo organizzazioni criminali che lucrano sulla sua disgrazia di dover abbandonare il paese nel quale è nato e vissuto.
Così un diritto universale come quello di poter richiedere asilo, riconosciuto a tutti gli esseri umani nella convenzione di Ginevra, diventa una variabile legata alla fortuna, un problema su cui i governi giocano allo scaricabarile, un problema di risorse economiche in un continente che ha concesso trilioni di euro pubblici per salvare gli istituti finanziari.
E’ evidente allora che l’esito di questa discussione sul fenomeno migratorio che investe l’Europa e le sue frontiere, legato al presente di un mondo globalizzato dove riaffiorano dal profondo della storia guerre e persecuzioni, è un test per capire cosa accadrà all’umanità stessa nel prossimo futuro.