‘O killer, Nu latitante, ‘O Capoclan. Sono alcuni dei titoli di canzoni dell’universo neo-melodico finiti al centro della cronaca perché in grado di creare ponti emotivi, attraverso il fascinoso mondo della musica, con la galassia camorristica. Suoni che a Napoli hanno spopolato superando il confine del trash ed entrando in registri comunicativi, oggetto di studio e approfondite analisi. Non sono mancate sferzanti polemiche contro testi che sono diventati manifesti di vite sbagliate, percorsi criminali, in grado di trasformare il boss in un predestinato, attore di un destino segnato. Il giudizio è stato quasi unanime, addirittura, negli anni scorsi, esponenti di governo si sono esposti condannando parole e musiche inneggianti ai “malacarne”. Eppure sul rapporto tra musica e potere criminale, manca ancora una domanda. Quella che si pone il cantante, frontman del gruppo ‘A67, Daniele Sanzone, nel libro Camorra sound, edito da Magenes.
Quesito scomodo e di certo inedito: perché la musica impegnata napoletana non ha raccontato i clan? Perché, insomma, non ha parlato di camorra, dei suoi omicidi, delle sue mattanze? L’autore inizia dalla sceneggiata per raccontare il ruolo svolto dalla musica e dalle rappresentazioni artistiche nel racconto del crimine organizzato. Evidenzia come film e libri abbiano sfidato il potere dei clan a differenza delle fiction, macchine di successo, che si portano dietro il rischio speculazione esaurita ogni spinta di denuncia.
Ma l’autore vuole capire le ragioni profonde del silenzio della musica impegnata. “Se sembra ormai evidente – scrive Sanzone – una sorta di legame tra il mondo dei cantanti neomelodici e il sistema, allora, forse bisogna porsi un’altra domanda, la cosiddetta musica impegnata, quella che forse più di ogni altra avrebbe potuto o dovuto parlarne, dov’era?”. La parola camorra è rimasta taciuta. Taciuta quando aveva la faccia, troppe volte giustificata, del contrabbando; taciuta dopo, quando a partire dagli anni Ottanta la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo uccideva e guerreggiava con la nuova famiglia, nata per affondare il sogno criminale di o’ prufessòre.
Perché nessuna parola tranne rare eccezioni? Sanzone cerca la risposta attraverso interviste, spesso approdate in accesi scontri dialettici, con i protagonisti della musica partenopea, tra cui ‘O Zulù dei 99 Posse, Raiz degli Almamegretta ed Edoardo Bennato. Protagonisti che hanno raccontato con testi magistrali la marginalità, la devianza, il degrado, lo Stato padrone, ma dimenticato la camorra.
Quello che emerge è una lista di priorità, nell’agenda della denuncia, dove i clan non hanno posto. Lo stato primo nemico e, insieme, il sistema capitalistico. La camorra diventa così un sotto-prodotto, un’altra faccia, di un modello economico che genera povertà e fame. Ma perché scrivere di ogni dramma sociale e neanche una canzone per il giornalista Giancarlo Siani o don Peppe Diana, vittime dei clan?
Nel libro le risposte offerte non sono esaustive, ma la domanda apre riflessioni e, appare necessario, averla posta. Resta una certezza quella del potere simbolico di alcuni artisti che, spiega Sanzone, diventano punto di riferimento sociale e politico. Per questo, nella destrutturazione del falso mito della camorra, nessuno può girarsi dall’altra parte.