I diversi conflitti in atto in varie regioni del globo non sono gestiti da Stati sovrani ma da signori della guerra, terroristi e mercenari che puntano alla conquista del potere. Diverso il caso dell'Isis: il Califfato diffonde le immagini di un esercito regolare, ben diverso dalle bande armate di al Qaeda o Boko Haram, che combatte utilizzando armi modernissime, e vuole costruire una nuova nazione. Ma tutti i fronti aperti hanno un comune denominatore: l'impoverimento delle popolazioni
La terza guerra mondiale assomiglia ad una nebulosa di conflitti che ricordano quelli dell’era pre-moderna, gestiti non da stati sovrani ma dai signori della guerra, dai terroristi e dai mercenari, il cui scopo ultimo è la conquista del potere per sfruttare popolazione e risorse naturali. Dalla Nigeria alla Siria, dal Sahel fino all’Afghanistan, vittima delle nuove guerre è la popolazione civile. In Nigeria, secondo le stime di Amnesty International, negli ultimi 12 mesi sono morte 4 mila persone, principalmente civili, a seguito degli attacchi di Boko Haram e dell’esercito nigeriano. Simili statistiche si riscontrano ai confini dell’Europa Unita. Secondo le Nazioni Unite dall’aprile di quest’anno nel conflitto tra i separatisti pro-russi e l’esercito nazionale ucraino sono deceduti 1.129 civili, una stima che a detta di molti è decisamente bassa.
Guerre pre-moderne, dunque, nell’era tecnologica, un binomio micidiale che centuplica i rischi per la popolazione civile. Esempio eclatante è l’abbattimento “per errore” di un areo di linea dell’Air Malesia mentre sorvolava l’Ucraina dell’est a 33 mila piedi d’altezza. Scomparse sono le trincee, i campi di battaglia ed anche le regole internazionali che codificano il comportamento degli eserciti regolari. La convenzione di Ginevra è carta straccia. I crimini di guerra, i genocidi, la pulizia etnica e religiosa fanno parte integrante della nebulosa bellica. Sempre in Nigeria Amnesty International ha filmato soldati nigeriani e membri del Civilian Join Task Force, la milizia civile, mentre tagliano la gola ai prigionieri, sospettati di far parte di Boko Haram, per poi gettarne i corpi decapitati nelle fosse comuni.
Secondo Mary Kaldor, professore presso la London School of Economics, ed autore di Nuove Guerre. La violenza organizzata nell’età globale, la globalizzazione ha fatto retrocedere alcune regioni a condizioni di anarchia non molto dissimili da quelle descritte dal filosofo Hobbes, quando descriveva la vita nello stato di natura come brutale e breve a causa dell’anarchia in l’uomo era costretto a vivere. La globalizzazione ha infatti minato la stabilità dei regimi autoritari, ad esempio in Siria e Libia. La caduta di Gheddafi nel 2011 ha prodotto un vuoto politico che milizie rivali tribali – dai gruppi liberali moderati fino agli islamici – hanno riempito con la violenza. Obiettivo comune è la conquista del potere politico ed economico ai fini di sfruttamento, non la creazione di uno stato democratico né tantomeno di una nuova nazione.
Il processo di degenerazione dello stato è dunque la causa principale del carattere pre-moderno dei conflitti odierni, un fenomeno sempre legato a ragioni economiche, e cioè all’impoverimento della popolazione, che de-modernizza la società. Durante il decennio di sanzioni economiche, l’Iraq è passato dalla nazione con la più alta scolarità nel mondo arabo ad uno stato dove le donne non avevano il diritto al lavoro. Il processo di islamizzazione è andato di pari passo a quello di impoverimento.
La globalizzazione ha portato benessere in alcune regioni, come la Cina o il Brasile, e povertà in tante altre, ad esempio il Medio Oriente e l’Africa. La crisi alimentare in alcune regioni dell’Africa, in parte legata ai cambiamenti climatici ed in parte alla corsa dei paesi ricchi per accaparrarsi le risorse alimentari di quel continente, ha diffuso l’insicurezza e fomentato i conflitti armati a carattere religioso ed etnico. Nel Mali separatisti Tuareg e varie fazioni islamiche lottano tra di loro e contro il governo; nella Repubblica Centrale Africana milizie cristiane e mussulmane sono coinvolte in una guerra sanguinaria, che rischia di diventare un genocidio; nel Maghreb al Qaeda è attiva in quasi tutti gli stati.
A rendere omogenea la nebulosa bellica è la violenza, sempre brutale come quella dell’età pre-moderna. Ultimo esempio l’uccisione del giornalista americano James Foley da parte dello Stato Islamico, il cui video ha fatto il giro del mondo sulle ali dei social media. Ma è un errore inserire la guerra di conquista del Califfato Islamico nella categoria dei conflitti pre-moderni qui sopra descritti. Lo Stato Islamico rappresenta una nuova, pericolosa mutazione perché a differenza degli altri gruppi il suo scopo è impadronirsi di risorse strategiche, dai pozzi di petrolio alle dighe, per costruire una nuova nazione, la versione moderna dell’antico Califfato. L’obiettivo e’, dunque, infinitamente piu’ ambizioso.
La sua sofisticata propaganda è impegnata a promuove l’immagine di uno stato legittimato dalla popolazione mussulmana non solo al suo interno ma anche straniera; Abu Bakr al Baghdadi non si presenta come un signore della guerra ma come il nuovo Califfo, discendente del profeta Mohammed. Il Califfato diffonde le immagini di un esercito regolare, ben diverso dalle bande armate di al Qaeda o Boko Haram, un esercito che combatte battaglie sul campo utilizzando armi modernissime, per la maggior parte americane e russe, rubate rispettivamente all’esercito iracheno ed a quello siriano. Sebbene impegnato nella pulizia settaria-religiosa il Califfato è ecumenico ed offre a chiunque la possibilità di convertirsi al salafismo sunnita e diventarne cosi’ un suddito. Lo Stato Islamico minaccia non solo i regimi medio orientali ma il concetto fondamentale dello stato moderno che poggia, a differenza di quello pre-moderno, non sulla sottomissione ma sul consenso di chi ne fa parte. Una sua vittoria sarebbe devastante per il mondo intero.