Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, ha detto che negli Stati Uniti la disoccupazione cala "a un ritmo sorprendentemente rapido" ma "il mercato deve ancora riprendersi pienamente dal profondo danno" subito dalla crisi. Se i progressi continueranno a essere così rapidi, la banca centrale Usa potrebbe ridurre prima del previsto gli stimoli all'economia. Venerdì sera intervento di Mario Draghi
Qualcuno sdrammatizza chiamandola “la Woodstock dei banchieri”. Ma la tre giorni di Jackson Hole, il simposio annuale che chiama a raccolta nel Wyoming i banchieri centrali di tutto il mondo, tiene regolarmente i mercati con il fiato in sospeso in attesa degli interventi dei big. Quest’anno in particolare. Perché l’edizione 2014, partita giovedì con contorno di proteste e contestazioni, segna un doppio debutto: da un lato quello di Janet Yellen come presidente della Federal Reserve (aveva parlato anche nel 2013, ma ancora come vice del predecessore Ben Bernanke), dall’altro quello di Mario Draghi, costretto dalla crisi europea a saltare gli ultimi due appuntamenti. Nonostante il programma ufficiale del convegno si intitoli “Ripensare le dinamiche del mercato del lavoro”, da Yellen e Draghi gli investitori si attendono anche indicazioni o almeno segnali potenzialmente preziosi sugli sviluppi della politica monetaria ai due lati dell’Oceano. Negli Usa, la cui economia è ripartita anche grazie alle corpose iniezioni di liquidità che la Fed ora sta gradualmente riducendo, e nell’Eurozona che non riesce a uscire dalla stagnazione e ha sempre più paura della deflazione. Non per niente venerdì, giorno dei loro interventi, le Borse europee hanno aperto tutte deboli (Milano la peggiore a -0,31%) e Wall Street ha registrato un avvio piatto. Il discorso della Yellen, però, non è piaciuto ai listini europei che hanno chiuso peggiorando le perdite. Maglia nera a Parigi che ha archiviato la seduta a -1,08%, mentre Piazza Affari ha lasciato sul terreno lo 0,46%. Draghi parlerà invece alle 20:30 ora italiana.
A ottobre stop agli stimoli all’economia Usa – Yellen ha confermato, “alla luce dei progressi” registrati sul mercato del lavoro, l’intenzione di mettere fine a ottobre al programma di acquisto di titoli (il cosiddetto “quantitative easing) messo in campo a partire dal 2008 per sostenere la ripartenza della locomotiva americana. Per quanto riguarda i tassi di interesse, che ora sono ai livelli minimi, la governatrice non si è sbilanciata. Su questo fronte, ha detto, le decisioni dipenderanno dall’evoluzione dell’occupazione e dell’inflazione, che oggi è “ancora al di sotto dell’obiettivo del 2%”: “Se i progressi del mercato del lavoro continueranno ad essere più veloci di quanto stimato o se l’inflazione si muovesse al rialzo più in fretta del previsto, convergendo più rapidamente verso i due obiettivi” del mandato della Fed, “il rialzo dei tassi potrebbe arrivare prima di quanto al momento il comitato si attenda e potrebbe essere più veloce in seguito”. Tradotto: prima di rendere più restrittiva la politica monetaria l’economista che da febbraio siede al vertice della banca centrale Usa intende essere sicura che lo stato di salute dell’economia sia solido e non ci sia il rischio di ricadute.
Mercato del lavoro americano “profondamente danneggiato” dalla crisi – La Yellen ha riconosciuto che “il tasso di disoccupazione, a luglio al 6,2%, è sceso di quasi 4 punti percentuali rispetto al picco di fine 2009″ con un “andamento sorprendentemente rapido nell’ultimo anno”. Tuttavia, ha aggiunto, “il mercato del lavoro deve ancora riprendersi pienamente” del “profondo danno” subito dalla crisi. Non solo: “Significativi fattori strutturali hanno avuto impatto sul mercato del lavoro, incluso l’invecchiamento della popolazione e altri trend demografici”, ma anche la “polarizzazione” dei posti di lavoro. In pratica il mercato si è diviso in due: da un lato i lavori più umili, dall’altro quelli a bassa specializzazione. In più nell’ultima riunione del Fomc, il comitato monetario della Fed, i membri sono stati concordi nel notare che c’è ancora un “livello notevole di sottoutilizzo” delle risorse umane. Di qui la convinzione “di mantenere l’attuale livello dei tassi per un periodo prolungato”.