Marocchino trapiantato in tenera età a Vobarno, nell'ottobre 2013 il 20enne sparì dalla circolazione, dopo essere stato arrestato a giugno proprio per la propaganda filo jihadista e incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi. Scarcerato, ha fatto perdere le proprie tracce. "Il martirio mi seduce, voglio morire a mano armata, tengo il bersaglio sulla Crociata", rappava. Ora sarebbe in Siria
Anche l’Italia, oltre al Regno Unito, annovera tra i suoi aspiranti jihadisti almeno un rapper. Si chiama Anas El Abboubi e ha 20 anni. Marocchino trapiantato in tenera età in provincia di Brescia, nell’ottobre 2013 El Abboubi sparì dalla circolazione, dopo essere stato arrestato a giugno nella sua casa di Vobarno proprio per la propaganda filo jihadista diffusa attraverso i social network ed essere poi stato rimesso in libertà perché gli indizi a suo carico erano stati considerati fragili. “Il martirio mi seduce, voglio morire a mano armata, tengo il bersaglio sulla Crociata”, rappava. Che dopo circa un mese, nel novembre scorso, riapparve su Facebook con il nome di Anas Al Italy, con il volto avvolto nella keffiah e un kalashnikov tra le braccia, annunciando di trovarsi ad Aleppo e spiegando in un audio ‘postatò sul social network la sua decisione di abbracciare la sharia e la lotta armata con i ribelli Siriani.
Nato in Marocco nel 1992, era stato arrestato all’alba del 12 giugno dalla Digos di Brescia in collaborazione con la Divisione antiterrorismo per addestramento con finalità di terrorismo internazionale e incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi. Allora il ragazzo viveva con la famiglia a Vobarno, comune di circa 8 mila abitanti della Valle Sabbia, in provincia di Brescia. Frequentava un istituto superiore e a giorni avrebbe dovuto dare l’esame di Stato. Gli investigatori riferiscono che aveva problemi di inserimento scolastico, oltre che di mancata integrazione. Raramente frequentava le comunità islamiche locali.
Gli investigatori lo tenevano sotto osservazione da tempo. Qualche giorno prima di essere arrestato aveva lasciato sul blog che aveva creato, Sharia4Italy, una sorta di testamento spirituale, in cui faceva capire che il suo ruolo era quello di rendersi martire in nome della sua religione. ”Voglio lasciare questo per i posteri” aveva scritto, dopo aver pubblicato una raccolta di sue traduzioni di documenti jihadisti. Non sapeva, El Abboubi, che le forze dell’ordine lo stavano controllando 24 ore su 24 intercettando le sue comunicazioni via web e pedinandolo da quel giorno dell’ottobre scorso in cui si era presentato in questura per chiedere l’autorizzazione per un manifestazione che vide una partecipazione molto esigua in piazza Paolo VI per protestare contro il film L’innocenza dei musulmani di Sam Bacile che aveva scatenato rivolte in Medioriente e portato all’uccisione di Chris Stevens, ambasciatore statunitense a Bengasi, in Libia. “Dimmi, dimmi o mujahid, dimmi cosa ti ispira, se la morte ti spaventa, se la vendetta ti accontenta, se il sangue del nemico non ti sazia, preparati alla lotta, il paradiso ti aspetta…”, scriveva il giovane sul suo blog. Qualche giorno in cella, poi la libertà: il 28 giugno il Tribunale del Riesame di Brescia accoglieva l’istanza di scarcerazione che i legali del ragazzo, gli avvocati Giovanni Brunelli e Nicola Mannatrizio, avevano depositato insieme alla richiesta di arresti domiciliari.
Oggi El Abboubi sarebbe in Siria. Lo confermava a novembre all’Ansa l’avvocato Brunelli all’indomani della sentenza della Cassazione che ha rigettato il ricorso della Procura di Brescia contro la scarcerazione. “Da settimane abbiamo perso le tracce di Anas. Il padre ha detto che e’ partito per la Siria”. La famiglia del ragazzo marocchino dice solo che “non e’ piu’ in Italia ormai da quasi due mesi”. Sul suo profilo Facebook nel frattempo Anas El Abboubi scriveva di trovarsi ad Aleppio e di lavorare per “Jihad: The Trail of Political Islam“. Sulle pagine del social network comparivano inoltre diverse fotografie del giovane marocchino mentre teneva tra le mani un kalashnikov.
Il legame tra rap e islam è forte già da molti anni e di rapper musulmani (che non inneggiano alla jihad ma fanno riferimento esplicito all’Islam) sono piene anche le classifiche (da Ice Cube, con i suoi oltre 13 milioni di dischi venduti, a Ghostface Killah, che di dischi ne ha venduti più di 6 milioni, a Busta Rhymes, a Q-Tip, per citarne alcuni). Esistono anche siti specializzati: da www.muslimrap.net alla web radio www.muslimhiphop.net. E non bisogna faticare molto per trovare in rete artisti di cabotaggio inferiore che hanno testi decisamente jihadisti.