Mi affaccio alla finestra e vedo la zia Anna, una distinta signora dai capelli biondi, piegata in due che spinge una macchinina sul selciato. Dalla bocca le escono rumori di clacson, rombi di motori: “Peee, peee, vroom, vroom”. Da mezz’ora ormai gioca con mio figlio Mario, che ha tre anni, e non sembra dare segni di cedimento nonostante il sole di Ferragosto.
Poco distante, nonno Bruno ha smantellato la sua cantina per realizzare un plastico ferroviario e adesso è lì che fa correre locomotive e vagoni insieme con Nino e Giovanni. Io me ne sto affacciata alla finestra, in questa calma sospesa di Ferragosto, e penso: prima di fare un figlio forse bisognerebbe interpellare anche i potenziali nonni, gli zii. Davvero un bambino cambia la vita di tutti. Costringe innocenti professoresse in pensione a giocare alle macchinine rombando in giro per il giardino. Spinge studiosi di diritto a improvvisarsi ferrovieri.
Eppure questa è una delle – tante – gioie che ti danno i figli: ti fanno ritrovare quell’amore che è fatto di ricordi, di vita vissuta, ma anche di un legame che ha valore per il semplice fatto di esserci. La carne, il sangue, la memoria, chiamatelo come volete. Una famiglia, insomma. Sei parte di un gruppo di persone che ti ricorda da dove vieni e in qualche modo conserverà qualcosa di te. Sei così legato ai cugini, agli zii, ai nonni anche perché ti ricordano in un modo inesplicabile, ma fortissimo, te stesso. Non abbiamo origini nobili, né io, né mio marito, non abbiamo idea di quando siano cominciate le nostre famiglie. Ma è bello sapere che dobbiamo questa nostra vita e quella dei nostri figli a persone che nemmeno conosciamo, sconosciuti che abitavano, chissà… nelle campagne della nostra Liguria, della Sicilia di mio padre o nell’Istria di mio suocero. Sono stati tutti bambini, come i miei figli che adesso giocano in giardino. E la zia e il nonno sembrano più felici di loro anche se forse avrebbero altro da fare che spingere macchinine o trenini a Ferragosto. Di questo gli sono grata: non fanno pesare nulla. Addirittura sono contenti (o fingono molto bene!). Appena hanno visto i nostri figli gli hanno voluto bene anche se erano arrivati senza avvisare.
Dal Fatto Quotidiano del 18 agosto 2014