Fra i libri che sto leggendo o rileggendo durante queste vacanze estive oramai quasi finite c’è anche il classico per eccellenza della letteratura italiana: la Divina Commedia. Oltre che per la leggendaria bellezza e l’ineguagliabile espressività del verseggiare del sommo poeta, tale opera si distingue anche per alcuni spunti che, sapendoli leggere in modo adeguato, dimostrano un’indubbia attualità.

Mi riferisco ad esempio a un passaggio del canto XV del Purgatorio, nella cornice che ospita gli invidiosi, laddove Virgilio indica la strada per non soggiacere allo smodato appetito di beni materiali: “Ma se l’amor della spera superna torcesse in suso il desiderio vostro, non vi sarebbe al petto quella tema: ché, per quanti si dice più ‘il nostro’, tanto possiede più di ben ciascuno, e più di caritate arde in quel chiostro”. Ovviamente tale risposta va collocata nel contesto ideale di Dante Alighieri, un contesto di natura medioevale fortemente segnato dalla religione e quindi il bene comune è stato giustamente inteso come equivalente a Dio.

Volendo però trasporre questo concetto ai nostri tempi, ci si rende conto come esso possa essere applicato in modo efficace alla soluzione dei più gravi e drammatici problemi che la nostra società sta vivendo. Se cominciassimo ad affermare che il bene comune va perseguito e protetto, in quanto in realtà è indivisibile il godimento che ciascuno dei membri della società può trarne e che tale godimento non si attenua, ma anzi si accresce, con la crescita del numero di coloro che lo provano, faremmo senz’altro un passo in avanti nella direzione giusta.

Pensate al beneficio che se ne potrebbe trarre esaltando il ruolo dell’ambiente, della cultura, della salute, del lavoro, della sicurezza in ogni suo aspetto. Certo, ciò comporterebbe il rovesciamento dell’ottica prevalente, nel nostro Paese ma un po’ in tutto il mondo, che vede viceversa l’esasperazione dello sfruttamento privato e rivolto al profitto delle risorse di ogni genere, materiali e immateriali. Così pure alla stregua di bene comune da perseguire va intesa una maggiore giustizia distributiva e uguaglianza nel possesso dei beni materiali, da ottenere attraverso interventi fiscali che colpiscano la ricchezza e consentano a tutti di disporre di un reddito di cittadinanza.

L’ottica prevalente che viceversa domina è quella, ampiamente smentita dalla storia, secondo la quale il perseguimento degli interessi individuali egoistici consentirebbe, realizzandosi, la simultanea realizzazione degli scopi di interesse sociale, anche perché, secondo la visione che fu di Margaret Thatcher e alla quale molti hanno aderito, anche provenienti dalle file di quella che fu la sinistra, in fin dei conti la società non esiste, esiste solo l’individuo che ha diritto a farsi gli affari propri e buonanotte al secchio.

A tale logica mostra ogni giorno piegarsi, in modo del resto non differente dai suoi predecessori, da Berlusconi a Monti a Letta, un meno illustre fiorentino, Matteo Renzi: basti vedere i suoi orientamenti in materia di privatizzazione dei servizi pubblici o la sua totale inerzia in materia di lotta all’evasione fiscale.

Beninteso, per quanto riguarda i primi, non è che le società municipalizzate, partecipate, o pubbliche in genere, possano continuare come fanno a sperperare, molte volte, il denaro pubblico senza costrutto. Ma l’antidoto va ricercato nella direzione diametralmente opposta a quella di Renzi, incrementando la partecipazione e il controllo dei cittadini sull’operato di tali enti, non già svendendoli a privati, magari stranieri o multinazionali che tutto avranno in testa fuorché i diritti dei cittadini italiani e il bene comune del nostro Paese.

Divagazioni che qualcuno giudicherà alquanto bislacche. Del resto Dante si riferiva a Dio, perché tutta la società e la cultura, il modo di parlare e di pensare erano all’epoca impregnate da tale concetto. Oggi, siamo di fronte a società, specie in Occidente, fortemente laiche e sempre meno religiose. A mio avviso è un bene, ma, anche per evitare il ritorno in auge della religione, specie nella veste del fondamentalismo, che sia islamico, cristiano, ebraico, buddista o di altro stampo, non  bisogna perdere di vista i valori collettivi che vanno rilanciati. Anche perché c’è un altro dio  che ha occupato la scena e orienta l’azione di ciascuno di noi e dei poteri pubblici, il dio denaro, che dispone di sacerdoti potenti e non meno nocivi di quelli che sostengono, all’interno di ciascuna corrente religiosa, i peggiori fondamentalismi. Liberarsi anche di questo dio, e dei suoi sacerdoti, sarebbe opportuno, anzi necessario per riscoprire il bene comune. E viceversa.

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