Insegne non ce ne sono. Ma percorrendo lentamente la Statale Adriatica, non lontano da Porto Recanati, località balneare del maceratese, sul lato opposto a quello che costeggia la ferrovia, ad un certo punto la siepe che per un lungo tratto la delimita, s’interrompe. Pochi passi e compare la recinzione dell’area archeologica di Potentia. Una città romana a lungo di grande importanza. “Dentro” non sembra possibile entrare. Il cancello chiuso e senza indicazioni utili per la visita. Un pannello che fornisce qualche indicazione su quelle strutture.
Bisogna andare sul sito online del Mibact per verificare che per l’ingresso, gratuito, bisogna telefonare preventivamente per un “appuntamento”. Che potrebbe non essere in giornata. Tanto più se si ha la “malaugurata” idea di farne richiesta proprio in coincidenza con il periodo di ferie estive dell’ispettore responsabile. Fortunatamente da fuori si vede quasi tutto, almeno quel che serve a farsi un’idea. Naturalmente perdendo la gran parte dei particolari. La sequenza delle diverse fasi di vita. E’ sufficiente seguire la rete metallica che perimetra il sito. Così si riconoscono i resti di un edificio sacro, circondato da un portico aperto su una delle viabilità maggiori del centro urbano. Su questa struttura, in età augustea, si impiantò probabilmente il macellum, circondato da botteghe aperte sul portico. Mentre lungo il lato occidentale del tempio si allineano le botteghe di età repubblicana, utilizzate fino ad epoca tarda.
Ad Est del tempio, poi, un imponente edificio con pavimenti a mosaico e affreschi, realizzato su precedenti costruzioni destinate ad attività lavorative. Tutto conservato per breve altezza ed in condizioni tutt’altro che ottimali. Le cortine murarie in più punti hanno le malte che hanno perso consistenza e le coperture a protezione delle parti più sensibili sono evidentemente state lacerate dagli apparati radicali delle erbe spontanee. I mosaici non sembrano passarsela meglio. I pannelli con la pianta dell’area di scavo e alcune ricostruzioni assonometriche sono posizionate ai lati di un’area coperta, all’interno del recinto, prospicente l’ingresso. Sostanzialmente “invisibili” dall’esterno. Intorno ci sono ancora campi coltivati e appena più lontano, a nord-ovest, c è il famigerato Hotel House, un edificio di 480 appartamenti per 16 piani. Un palazzo nato dal boom economico degli anni ’60 come “seconda casa” per il ceto medio italiano, ma trasformatosi ben presto in “prima casa” del popolo dei migranti. Così sono loro, forse, a godersi dai terrazzi la vista dell’area archeologica.
Più in là, tra la Statale Adriatica e la Provinciale Helvia Recina, denominata la “Regina”, ancora campi coltivati. Tra i quali ci sono altri pezzi di storia. Parti tutt’altro che trascurabili di quel che potrebbe essere il parco archeologico. C’è l’abbazia di Santa Maria in Potenza, con la chiesa la cui fondazione risale al 1180. Un complesso straordinariamente bello, trasformato, come riporta il sito online www.abbaziasantamariainpotenza.it, in location per eventi “indimenticabili”. C’è la casa dell’arco, cioè una casa colonica che ha inglobato due delle tre arcate del ponte che permetteva in età romana di scavalcare il fiume Potenza nel suo tracciato primitivo. Nessuna indicazione per arrivarci. Alcun pannello a dare qualche informazione sull’infrastruttura. Che anzi, anno dopo anno, senza alcuna cura, si mostra in evidente stato di conservazione precario nei punti più esposti. Senza contare il monumento funerario in opera cementizia ad ovest dell’area archeologica, davvero “invisibile”. Sostanzialmente perso tra le coltivazioni e le strade battute interpoderali.
La Soprintendenza archeologica per le Marche in quest’area ha fatto molto. Indubbiamente. Ha istituito un parco archeologico. Ha provveduto a far eseguire dei saggi di scavo in occasione dei lavori di manutenzione di un tratto di condotta idrica, all’interno dell’area sottoposta a vincolo archeologico. Ha coordinato le ricerche di fotointerpretazione e rilievo archeologico nell’area della città antica. Ha realizzato la mostra permanente “Divi & Dei”, un’esposizione di reperti statuari provenienti dall’area archeologica allestita in uno dei locali al primo piano del Castello Svevo. “Un primo passo nella direzione di un allestimento permanente sulla città”, come si legge nella sezione relativa al turismo del portale del comune maceratese.
Così Porto Recanati avrebbe a disposizione numerose occasioni per implementare la sua recettività turistica. La località lungo il litorale marchigiano avrebbe la possibilità di arricchire l’offerta, diversificandola. Non solo mare e spiaggia. Ma anche storia. Tanto più in considerazione che le stagioni potrebbero anche risultare difficili, per ragioni metereologiche e per una poco attenta manutenzione degli scarichi a mare. Insomma pioggia più frequente del solito e mare così inquinato da richiedere un ripetuto ricorso al divieto di balneazione. Proprio come si è verificato in questa estate. Peccato che ben pochi dei bagnanti “traditi” abbiano scelto per le loro passeggiate la visita della mostra archeologica e ancora di meno quelli che hanno avuto la possibilità di visitare l’area archeologica di Potentia.
Il comune cresce, aggiungendo altri complessi immobiliari a quelli esistenti. Dilatando ulteriormente la sua estensione. Non sanando questioni da tempo irrisolte. Come accade per l’Hotel House, sul cui destino si continua sterilmente a discutere. Come si verifica da decenni sul porto. Per alcuni unico, insostituibile, motore di sviluppo possibile. Per altri un’opera che rischierebbe di stravolgere irrimediabilmente un pezzo di Paesaggio dell’area. Come accade ancora per l’ex stabilimento Montecatini, in località Scossicci. Un magazzino per materiali in cemento armato attribuito a Pierluigi Nervi e realizzato negli anni Cinquanta del Novecento. Da decenni in abbandono.
C’è da auspicare che le scelte urbanistiche non siano disgiunte da quelle riguardanti più propriamente la Cultura. Che i due temi si fondano, armonizzandosi. Che Porto Recanati diventi un polo delle archeologie marchigiane, nel quale l’area archeologica sia fruibile a tutti con facilità. Magari anche d’estate. Senza dover fare i conti con le ferie degli altri.