In principio fu Nicola Gratteri, ma la sua nomina a Guardasigilli del governo Renzi fu rapidamente affossata a favore del più morbido Orlando. Che ora cerca di riscrivere norme delicate, dalle intercettazioni alla prescrizione, insieme al viceministro già pasdaran berlusconiano e al sottosegretario gradito al centrodestra
In principio fu Nicola Gratteri, arcigno magistrato anti-‘ndrangheta propugnatore di ricette drastiche nella lotta alla criminalità: inasprimento delle pene per i mafiosi e per i politici che ne prendono i voti, limitazione di patteggiamenti e simili, strenua difesa delle intercettazioni telefoniche. Della sua candidatura a ministro della Giustizia Matteo Renzi fece una bandiera, che però al dunque fu frettolosamente ammainata. Al suo posto, nella lista vergata da Renzi e approvata da Napolitano, spuntò a sorpresa il nome di Andrea Orlando, esponente Pd, fama decisamente più garantista.
Non solo. La successiva tornata di nomine mise al fianco di Orlando due personaggi pescati nell’area del centrodestra e certo non sgraditi a Silvio Berlusconi: il viceministro Enrico Costa, Ncd (nella foto insieme ad Alfano) sempre pronto a supportare l’ex Cavaliere nelle sue disavventure giudiziarie almeno fino alla rottura degli alfaniani, e il sottosegretario Cosimo Ferri, magistrato della corrente moderata Magistratura indipendente “conservato” dal precedente governo Letta. Ecco la squadra che sta studiando la riforma della giustizia promessa dal premier, un lavoro di cesello su campi minati come la riforma della prescrizione, le nuove regole sulle intercettazioni telefoniche, la responsabilità civile dei magistrati, il falso in bilancio.
Poi c’è il rappresentante “ufficiale” delle istanze berlusconiane, il senatore di Forza Italia Giacomo Caliendo, nche lui magistrato, che ha recentemente incontrato il ministro Orlando per chiarire il posizionamento dei “paletti”. Sulla responsabilità civile dei giudici: “Se un errore causa un danno di 200mila euro o si chiede al giudice l’intero risarcimento, sia pure rateizzato, o si deve graduare la rivalsa in rapporto al danno”, ha spiegato al Corriere della Sera. “Non si può accettare solo una quota dello stipendio, sia pure aumentata dall’attuale terzo alla metà”. Sulla prescrizione: “No a un intervento generalizzato per allungare i termini, il processo è già lungo”. Sul falso in bilancio: “Guai a punire penalmente le violazioni solo formali del bilancio. Sarebbe un grave danno per l’economia”. Sull’autoriclaggio (la legge italiana punisce finora solo il riciclaggio di fondi illeciti altrui, e non di quelli ricavati in proprio): “Deve esserci una norma che lasci fuori i reati di piccola portata”.
“Il fantasma di Berlusconi non aleggia sulla riforma della giustizia targata Orlando”, ha assicurato Donatella Ferranti, Pd, presidente della Commissione giustizia a Montecitorio. Non la pensa così il viceministro Ncd Costa, avvocato di Cuneo, figlio del parlamentare liberale Raffaele, che ha chiarito: “Vogliamo essere propositivi anche perché molti dei punti citati da Renzi (nei famosi 12 punti illustrati il 30 giugno, ndr) sono da sempre cavalli di battaglia del centrodestra”. Tra i cavalli di battaglia condotti ora dall’alfaniano Costa c’è appunto la responsabiltà civile dei giudici: “Quello su cui tutti si sono detti d’accordo è che il magistrato non possa più essere chiamato a rispondere solo con l’attuale un terzo dell’annualità del proprio stipendio”, ha dichiarato per esempio il 2 luglio. E quando ancora esisteva il Pdl, Costa leggeva così il sì della giunta del Senato alla decadenza da senatore di Berlusconi in seguito alla condanna definitiva per frode fiscale: “Killeraggio politico con l’aggravante della premeditazione”.
Enrico Costa è stato anche il relatore del Lodo Alfano, escamotage per garantire l’immunità giudiziaria alle “alte cariche dello Stato”, tra le quali, all’epoca, figurava il premier Berlusconi. E della riforma del legittimo impedimento, per garantire una maggiore facilità nell’ottenere il rinvio di udienze in tribunale per impegni istituzionali degli imputati, tra i quali, all’epoca, figurava sempre Berlusconi.
Ma se Costa pare avere rotto politicamente con Berlusconi dopo la diaspora dell’Ncd, più accreditato come interprete dei desideri dell’ex Cavaliere è l’indipendente Cosimo Ferri (anche lui figlio d’arte: il padre Enrico fu ministro dei Lavori pubblici per il Psdi, rimasto famoso per l’introduzione del limite dei 110 all’ora in autostrada). Fedele al suo ruolo di “tecnico”, nelle dichiarazioni pubbliche il sottosegretario è Ferri è più cauto del viceministro. Ma sul falso in bilancio, il giorno in cui Renzi presentava i suoi 12 punti avvertiva: “Dovremmo diversificare le grandi imprese dalle piccole e medie imprese”. Perché è vero che “il falso in bilancio nasconde la corruzione“, dato che permette di creare i fondi neri necessari a pagare le mazzette, “ma bisogna distinguere: è più facile che lo facciano le grandi imprese che non i piccoli”.
Il tecnico, eletto nel 2006 al Csm con il record di 533 preferenze, sa farsi anche interprete del pensiero “dei cittadini”, almeno in certi casi: “Non posso vedere alcuni processi che si arenano e altri che fanno tre gradi di giudizio nel giro di dieci mesi”, rispose a Klauscondicio a una domanda sulle vicende giudiziarie di Berlusconi. “Il cittadino si chiede come mai alcuni hanno quella velocità e altri no, quali siano i criteri”. E quando il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti invocò un intervento sulla prescrizione che in Italia manda al macero oltre 100mila procedimenti penali l’anno, Ferri puntualizzò: “E’ importante che i due interventi su prescrizione e ragionevole durata del processo siano attuati contemporaneamente e che, insieme a essi, si consolidi un modo di legiferare meno ondivago”. Se e come le due esigenze saranno contemperate, si vedrà quando il governo passerà dagli annunci ai fatti. Ma sulla giustizia, per Renzi cambiare verso non pare così facile.