L'esordio risale al 1997 e ancora il loro volume di scambi è basso. Ma dall'Oktoberfest a grandi marchi come Coca Cola e Heineken, in molti scelgono questi prodotti finanziari per tutelarsi contro la variabilità metereologica. In Italia è ancora poco diffuso, soprattutto perché pensato per volumi poco accessibili ai singoli agricoltori
Parchi acquatici, albergatori, balneari, gelatai, produttori di frutta e, ovviamente, turisti. La lista di chi sta maledicendo questa “estate scozzese” è lunga. Oltre a scongiuri e imprecazioni dalla dubbia efficacia esiste, almeno in teoria, un altro modo per limitare i danni quantomeno di natura economica. Si tratta dei derivati atmosferici, quasi ignoti in Italia, ma da anni in uso negli Stati Uniti e in paesi europei come Inghilterra, Olanda o Germania. Nel 2012 persino la celebre Oktoberfest di Monaco di Baviera ha utilizzato questi prodotti finanziari per tutelarsi dal rischio maltempo. Il contratto tipo è relativamente semplice. Si fissa una temperatura di riferimento (oppure la quantità di pioggia o neve) per una determinata area. Maggiore è lo scostamento registrato nella realtà, più alto sarà il premio in denaro che ottengo o che devo pagare. Se ad esempio sono un produttore di gelati e voglio “proteggermi” dal freddo potrei stipulare un contratto in cui ricevo un premio se la temperatura media risulta inferiore ai 20 gradi, mentre sarò io a dover pagare se il termometro segna valori più alti. Al momento, spiega Giancarlo Giudici, che insegna finanza aziendale al Politecnico di Milano, “ad usare questi prodotti finanziari sono soprattutto le utilities come le società energetiche che risentono delle variazione di consumo determinate da stagioni più o meno calde. Circa l’80% dei contratti a livello globale è infatti riconducibile a questo tipo di business”. Tra gli utilizzatori ci sono anche grossi nomi dell’alimentare come Coca Cola e Heineken. Non si tratta però di un settore riservato ai soli colossi, come dimostrano il caso della festa della birra o il contratto sottoscritto in Inghilterra dalla catena di wine bar Comey & Barrow.
L’esordio di questi prodotti finanziari risale al 1997 e, a dire il vero, non è stato dei migliori. La prima società a costruire un derivato atmosferico fu infatti la famigerata Enron passata pochi anni dopo alla storia come una delle più grandi bancarotte della storia innescata proprio da ingenti e sconsiderate scommesse in strumenti derivati. Tuttavia l’idea di fondo rimane valida. I derivati nascono proprio a scopo di tutela e riduzione dei rischi. Quelli sul grano furono concepiti per permettere agli agricoltori di tutelarsi di fronte a eccessivi ribassi dei prezzi. Una sorta di assicurazione. E, come per tutte le assicurazioni, se l’evento temuto non si verifica si perdono dei soldi. “I danni da maltempo sono sempre molto difficili da calcolare”, ricorda Giudici, “e da questo punto di vista i derivati hanno il vantaggio di essere immediatamente quantificabili in base a parametri oggettivi”. A livello globale i weather derivatives stanno lentamente conquistando spazio anche se il volume degli scambiati sul mercato di Chicago (la borsa di riferimento per tutti questi tipi di prodotti) rimane relativamente modesto, intorno ai 15 miliardi di dollari. Una goccia nel mare della finanza globalizzata, ma con tassi di crescita di un qualche interesse. L’esiguità dei volumi ha il vantaggio di rendere poco appetibile questo comparto per i colossi della finanza in cerca di opportunità speculative. Al Chicago Mercantile Exchange sono trattati derivati atmosferici legati alle temperature di una cinquantina di aree comprese una decina di città europee tra cui Roma. Oltre ai titoli scambiati sui mercati regolamentati esiste però la possibilità di stipulare uno specifico contratto “tagliato su misura” con una banca che offre questo tipo di servizio. Nel 2012 ABN Amro ha creato uno dei più grandi derivati di questo tipo che è stato poi acquistato per 10 milioni di euro da un gruppo di costruzioni olandese.
In Italia per ora non lo fa quasi nessuno anche se, spiega la Coldiretti, qualcosa di simile è stato sperimentato nel settore vinicolo. L’associazione degli agricoltori sottolinea come per ora si tratti di strumenti che richiedono volumi troppo elevati per essere accessibili al singolo agricoltore, tuttavia un interesse per questo tipo di prodotti esiste. “Per le banche è un business non privo di insidie”, avverte Giancarlo Giudici, “poiché una volta stipulato il contratto è molto difficile ricollocare il rischio che ci si accolla”. Nel nostro paese pioniere di questo tipo di contratti è stato il Banco di Sondrio che nel 2003 ha stipulato un derivato climatico con Fonte Tavinia, produttrice di acque minerali che voleva proteggersi dalle ricadute di estati troppo miti. Sopra i 28 gradie mezzo pagava Tavinia, sotto questa soglia era la banca a pagare la società di acque minerali. Nel 2005, sempre la Popolare di Sondrio stipulò un contratto simile con la Ascotrade, società veneta distributrice di metano che voleva tutelarsi da un eventuale calo dei profitti per i bassi consumi determinati da temperature miti.
Per gli appassionati di meteo c’è poi anche un’altra prospettiva da cui guardare a questi strumenti finanziari. Come fece notare alcuni anni fa il Washington Post l’andamento del mercato dei futures sul succo d’arancia (contratti derivati in cui si scommette sul prezzo futuro di un determinato prodotto) ha fornito in questi anni previsioni climatiche per la Florida più precise rispetto a quelle del servizio meteorologico nazionale. Insomma, se si pianificano con un certo anticipo viaggi e vacanze, più attenzione ai listini e meno alla tv.