Il regista italoamericano, 63 anni, sarà in Concorso alla Mostra di Venezia, con il film girato in lingua inglese e con Willem Dafoe nei panni dell'intellettuale: "Uno scrittore, un poeta, ha diretto film meravigliosi, era una persona stupenda"
“Tu sai che a un certo punto arriva la rivelazione. No, non la rivelazione: la redenzione. Redenzione: è la mia parola preferita: non so ancora cosa significhi, ma ce l’ho!”. Abel Ferrara, italoamericano, 63 anni compiuti il 19 luglio, regista con un piede nella Storia del Cinema, e l’altro a scalciare, ancora, in uno showbiz che gli sta stretto, sebbene davanti alla sua macchina da presa siano passati mostri sacri come Harvey Keitel e Chris Walken e stelle quali Madonna e Claudia Schiffer. Oggi Ferrara in mano tiene una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo in mano, forse quella lustrale di un nuovo battesimo.
Eppure, a spulciare le biografie che l’accompagnano ai festival, è sempre lo stesso: controversial director. Discusso, ma mai discutibile. L’ha confermato Cannes, dove portava Welcome to New York, “dedicato” all’affaire DSK, l’acronimo di Dominique Strauss-Kahn: fuori dal festival, dentro la notizia, perché senza essere in cartellone è stato “il” film dell’ultima edizione. Ma lui non si scompone: “Beh, io sono un regista. Faccio film. Con Ultimo tango a Parigi hanno fatto un disastro, volevano che Marlon Brando andasse in prigione. È buffo, tu stai girando un film e il tuo attore finisce arrestato?! Io sono un artista, ho la mia libertà di espressione”. Sulla Croisette, avevamo un’intervista, l’abbiamo fatta, ma non eravamo soli: gli squillava il cellulare, Abel si alzava, all’altro capo c’era sempre il suo avvocato, perché al suo Welcome hanno risposto furiose le polemiche, dall’ex moglie di DSK Anne Sinclair in giù. “Fuck” per intercalare, le rassicurazioni del legale – “Ha detto, questi sono i tuoi film, ci sono le assicurazioni, ci sono errori ed omissioni… Esiste un problema qualora esista una denuncia per quello che stai facendo” – e la tradizione di chi il cinema non lo fa per gioco, ma per davvero: “JFK e La battaglia di Algeri sono dei capisaldi, degli esempi che non se ne vanno… io faccio le mie cose, sono un artista, non sto girando documentari, penso a quello che voglio fare io. Questi film sono miei”.
Quello nuovo è Pasolini, sarà in Concorso alla Mostra di Venezia, girato in lingua inglese e con Willem Dafoe nei panni di PPP. Per chi Ferrara lo conosce, per chi ha seguito la redenzione down into fucking hell del Cattivo tenente, il vampirismo esistenziale di The Addiction, la mafia formato famiglia di Fratelli, questo film è il logico approdo del suo cinema, che spesso, se non sempre, ha teso una corda tra il sacro e il profano passando per l’eccesso: la domanda, dunque, non è perché un film su Pasolini, ma come. Il nuovo corso salutista, e buddista, gli fa guardare in cagnesco la nostra sigaretta, il nostro bicchiere, ma poi muove la mano nell’aria ad afferrare i pensieri, e previo uno strascicato “You know…” ride: “Se potesse, Pasolini mi denuncerebbe, ma lui stesso fu citato in tribunale. È la maledizione di tutti i registi che considero dei modelli, i miei maestri. Pasolini è per me fonte di ispirazione: uno scrittore, un poeta, ha diretto film meravigliosi, era una persona stupenda”. Quasi un santino, se non lo conoscessimo, ma uno che ha fotografato lo stupro di una suora con un crocefisso (Il cattivo tenente), ha affondato i canini nel nichilismo (The Addiction), ha dato a un’altra suora (En travesti) una calibro 45 per vendicarsi della violenza subita (L’angelo della vendetta) e trovato l’orario buono, 4:44, per la fine del mondo, l’agiografia non sa che sia: Zeffirelli non abita qui.
E, poi, chi dice che Pasolini santo non lo fosse per davvero? “Un tipo tranquillo, non ha mai alzato la voce con nessuno e si preoccupava sempre per gli altri, anche solo che avessero mangiato. Io sono un filmaker e cerco di raccontare tutto con la mia immaginazione: spero che la gente la colga, e sappia apprezzare il valore di un artista così grande”. Dall’America all’Italia, prima Napoli e ora Roma, con capitali francesi per finanziare sia Welcome to New York che Pasolini, Ferrara ha trovato un gigantesco, carnale e sfatto Gerard Depardieu per DSK,e ha ritrovato Dafoe: “Non avrei fatto Pasolini se Willem non fosse stato nel cast, idem per Gerard. Mi aspetto attori che arrivino pronti a fare il botto, a impegnarsi fino allo stremo in questo cazzo di film”. Sulle responsabilità della morte di PPP ne vedremo delle belle ma, ancor prima, informate, a partire dalle procedure di polizia: “Certo che ho fatto delle ricerche, quei ragazzi sono veri, sono esattamente come li vedete. È divertente, paradossale, perché spesso sono i poliziotti che si mettono ad imitare i personaggi degli show televisivi, tipo I Soprano. E lo stesso vale per i gangster: li guardano e iniziano a comportarsi come i Soprano”. Al Lido il PPP secondo Ferrara gli procurerà nuovi nemici, ma per ora Abel ha fatto pace con Werner Herzog, reo di aver copiancollato il suo Cattivo tenente con il sottotitolo Ultima chiamata New Orleans nel 2009: “Tutto sistemato. Non potevo tenergli il muso, è il mio regista preferito, gli voglio bene”. Ma Il cattivo tenente reloaded Ferrara non l’ha visto: “Non è il mio genere… Voglio vedere Klaus Kinski quando vedo Herzog. E poi Werner me l’ha detto: ‘Non volevo fare quel film!’”.
Dal Fatto Quotidiano dell’11 agosto 2014