Due circolari dell'istituto di previdenza hanno anticipato di 15 mesi la data entro cui devono essere maturati i requisiti per accedere al pensionamento anticipato a 57 anni con una decurtazione dell'assegno. La possibilità era prevista dalla legge Maroni ed è stata confermata dalla riforma Fornero. La protesta del comitato Opzione Donna: "Seimila uscite bloccate, intervenga il governo"
Oltre un miliardo di euro di risparmi in fumo. Solo perché l’Inps ha anticipato di 15 mesi la data di presentazione dei versamenti pensionistici per la cosiddetta “Opzione Donna”. E’ quanto sostiene il comitato omonimo, nato su Facebook il 22 luglio, in merito alla circolare dell’istituto di previdenza che annulla i potenziali vantaggi della legge Maroni del 2004, riconfermata dalla riforma di Elsa Fornero, impedendo a 6mila lavoratrici di accedere al pensionamento. L’attuale governatore della Lombardia, all’epoca ministro del Lavoro del governo Berlusconi, aveva introdotto una ‘finestra’ di uscita per le donne, dipendenti del settore pubblico e privato o autonome, che avessero maturato 35 anni di anzianità e 57 anni di età (58 per le lavoratrici autonome), ma con l’obbligo di optare per il sistema contributivo e una penalizzazione pari al 20-30% dell’assegno. Le casse previdenziali, dunque, avrebbero risparmiato altrettanto. La norma, introdotta inizialmente “in via sperimentale fino al dicembre 2015” e battezzata Opzione Donna, è stata ribadita anche nella discussa riforma Fornero del dicembre 2011. E parecchie ormai ex lavoratrici hanno aderito: dal 2009, primo anno di applicazione della legge, sono state circa 16mila.
Ma l’Inps nel marzo 2012 con un paio di circolari (la 35 e la 37) inviate ai dicasteri di competenza ne ha vanificato l’effetto. I due documenti infatti anticipano al 2014 il possesso dei requisiti per andare in pensione con l’Opzione Donna nel 2015: a giugno per le lavoratrici autonome, ad agosto per quelle del privato e a settembre per le statali. “E’ incredibile che una circolare dell’Istituto di previdenza cancella una norma del governo”, dice al fattoquotidiano.it Dianella Maroni, dirigente del Comune di Ravenna e tra le fondatrici del comitato, che ha 35 anni di contributi, compirà i 57 nel novembre 2014 e dopo la circolare incriminata dovrà lavorare per altri otto prima di andare in pensione. “Dovrò aspettare il 2022, quando avrò 42 anni di contribuzione. Sono mesi che come Comitato solleviamo dubbi di legittimità su questo “anticipo” immotivato, tanto che la Commissione lavoro della Camera ha prodotto diversi progetti di legge per risolvere il problema e il Parlamento si è espresso con una risoluzione chiedendo che il governo si faccia parte attiva nei confronti dell’Inps per modificare la circolare”.
Invece il tempo stringe e nulla cambia: “Il ministero delle Finanze, per via delle tabelle Inps sulle nuove aspettative di vita nei decenni a venire, sostiene che non ci sono le risorse sufficienti per una effettiva copertura. Una considerazione assurda, perché se le donne vanno in pensione con il sistema contributivo fanno risparmiare, nel periodo di riferimento, oltre 1000 milioni di euro”. Come si arriva a quella cifra? “Il pensionamento “contributivo” di 6mila lavoratrici con Opzione Donna permetterebbe un risparmio di quasi 200 milioni di euro”, spiega la dirigente comunale ravennate, “ma calcolando l’aspettativa di vita ad 87 anni come da tabelle Inps le attuali 57enni ritirerebbero un assegno decurtato almeno fino al 2041 con un risparmio per le casse previdenziali di 1.175 milioni”. Ora la Maroni e le altre promotrici della pagina Facebook, grazie alla quale altre donne nelle stesse condizioni sono venute a conoscenza per caso dell’anticipo inatteso richiesto dalla circolare Inps, chiedono “un nuovo incontro con il ministero del Lavoro, che la circolare venga cancellata e che l’Opzione Donna venga estesa fino al 2018. La nostra scelta volontaria, che comunque sacrifica una fetta della nostra futura pensione, libera risorse per lo Stato. Da utilizzare, magari, per gli esodati”.