Partiamo da un presupposto: viaggiamo ormai in un mondo di illazioni. Gli autonominati al governo annunciano con formule criptiche ed ellittiche “riforme epocali”, omettendo elementi fondamentali che potrebbero aiutarci a capire qualcosa: prima di tutto i fondi necessari e quelli disponibili. Invece ci vomitano addosso fiumi di parole che indugiano su concetti efficaci, rassicuranti, vaghi.
Il Meeting estivo di CL è tradizionalmente momento di rivelazioni importanti. Il ministro Stefania Giannini ha però solo alluso (e in modo confuso e poco comprensibile) ad alcuni imminenti provvedimenti: il cosa, ma non il come e – soprattutto – il quanto. Del resto questo governo ci costringe ad un’incessante attesa. Gli annunci trionfalistici e demagogici che accompagnarono in luglio il piano Reggi si stanno moltiplicando anche in prossimità del fatidico 29 agosto, data entro la quale il premier rivelerà i contenuti del piano che “stupirà” il mondo della scuola. L’inaugurazione della “rivoluzione culturale che serve all’Italia: spalancare le finestre e fare entrare aria nuova”.
Il ministro Giannini a Rimini – emulando il giovane capo – dà misteriosi assaggi. Qualche battuta, non particolarmente esilarante: “Bisogna superare definitivamente il sistema delle supplenze. I supplenti non saranno eliminati fisicamente . Come fare lo vedrete nelle prossime settimane”. Sarà, ma i conti non tornano. I 160mila precari delle graduatorie ad esaurimento vanno ogni anno a ricoprire posti il cui titolare non sia disponibile. Il progetto del ministro sembra essere quello di inserirli per 3 anni (l’operazione di stabilizzazione, è già stato dimostrato in un dossier della Flcgil, non richiederebbe particolari spese aggiuntive) in un organico funzionale di rete, al quale scuole in rete possano attingere per sopperire alle mancanze dei titolari. Questo organico, nei progetti del ministro, assolverebbe sia all’insegnamento annuale, sia alle supplenze temporanee, nonché all’integrazione di varie attività proposte dalla scuola. L’organico funzionale d’istituto è stato previsto (poi sconfessato dai tagli) sin dalla legge 662 del ’96 e poi dalle norme sull’autonomia. Esso rappresenta una quota di personale docente, privo di classe, che può aggiungersi all’organico di fatto e che può servire alla scuola ad ampliare l’offerta formativa, alla sostituzione dei docenti e ad avere anche un pool di insegnanti a disposizione di reti di scuole. Esso, quindi, non coincide con il numero delle classi e degli insegnamenti. Quello eventualmente proposto dalla Giannini non si configurerebbe come organico funzionale di rete (cioè, come corpo docente assegnato a reti di scuole, che utilizzerebbero tali docenti per il potenziamento dell’offerta formativa che inglobi anche sostegno, integrazione degli alunni stranieri e dispersione scolastica), ma come personale che andrebbe ad occupare posti disponibili. Pertanto impossibilitato – quanto i docenti di ruolo – ad occuparsi di tutte le funzioni aggiuntive di sostegno agli apprendimenti e all’offerta formativa cui il ministro fa cenno.
Quali, dunque, le risorse umane disponibili a questo scopo rispetto alla situazione attuale? Nessuna, si direbbe. Ma il ministro insiste. E allora, data l’ostinata riservatezza delle sue dichiarazioni e quel continuo giocare agli indovinelli, che alla nostra età ha un po’ stancato, proviamo ad avanzare qualche ipotesi, servendoci dei due temi, che hanno animato il dibattito e dato sostanza a tante esternazioni estive: il taglio dell’ultimo anno di scuola superiore (oggi Giorgio Rembaudo, presidente dell’Anp – Associazione Nazionale Presidi – sul Gr2 non ha affatto esclusa questa ipotesi); l’aumento dell’orario di lezione per i docenti (si parlerebbe di 22 ore di lezione frontale), accreditato dopo le ulteriori indiscrezioni di un ripescaggio in chiave renziana del ddl Aprea, con tanto di carriera dei docenti. Il tutto, ovviamente, mentre si parla di un ulteriore clamoroso blocco del contratto, fermo già dal 2009.
In sostanza: pseudo stabilizzazione dei docenti nelle graduatorie ad esaurimento, senza alcun tipo di possibilità di intervento integrativo e di arricchimento sugli apprendimenti e sull’offerta formativa (pertanto non organico “funzionale”). Se tutto ciò dovesse essere confermato qualcuno provi a convincerci che non si tratta della proverbiale tazza, di lucreziana memoria, i cui bordi, cosparsi di zucchero, addolciscono la medicina amara. Qui, però, la medicina non farebbe bene, anzi sarebbe veleno puro: la demagogia dell’iniziativa addolcirebbe l’ulteriore indebolimento della scuola pubblica, degli apprendimenti e dei diritti degli studenti, con un impoverimento del curriculum della scuola superiore; aumenterebbe il carico di lavoro frontale dei docenti. Non eliminerebbe “fisicamente” i 400mila docenti presenti nelle graduatorie di istituto, ma favorirebbe la loro espulsione definitiva da un sistema (ormai autosufficiente, perché con un numero relativamente maggiore di lavoratori al netto di un drastico ridimensionamento dell’offerta e dei bisogni) iniquo, che ne ha sfruttato per anni il lavoro, con la promessa di un posto futuro che, se le cose stessero davvero così, non arriverà mai.