Parte dalla Turchia la rotta di milioni di persone che si imbarcano su motonavi di fortuna per sfuggire da Iraq, Somalia e Siria. Le ragioni sono da ricercare nell'assenza di controlli da parte di Ankara, accusata di "un vero e proprio boicottaggio di accordi già siglati”. E nella terza città turca aumentano le vendite di giubbotti di salvataggio per gli immigrati
Una volta era l’Albania, con la motonave Vlora che giunse stracolma di immigrati al porto di Bari l’8 agosto del 1991, a rappresentare il porto di partenza per gli extracomunitari che sognavano l’approdo in Europa. Oggi invece, al netto delle primavere arabe e della costante e irrisolta instabilità in Libia e Siria, parte dalla Turchia la nuova rotta di milioni di disperati. Dal porto di Smirne si imbarcano su motonavi di fortuna, pescherecci, gommoni di seconda mano un tempo appartenenti ai militari. Destinazione? Il Vecchio Continente, ma passando dalla Grecia giunta al collasso con due milioni di immigrati (cifre ufficiali) e con due macroelementi significativi.
Il primo riguarda l’assenza di controlli sia di terra alla frontiera settentrionale con la Turchia, sia in mare con intere isolette disabitate utilizzate dagli scafisti come basi logistiche che nel tempo sono diventate cimiteri umani. E’uno dei motivi per cui, ad esempio, in Grecia il partito neonazista di Alba dorata ha ottenuto risultati significativi alle urne, promettendo la costruzione di un muro proprio in quella striscia di terra che separa Grecia e Turchia e che di fatto non brilla per controlli e segnalazioni.
Il secondo di natura più “commerciale“, con la notizia di diversi negozi nel quartiere di Basmas, a Smirne, che hanno messo in vendita giubbotti di salvataggio ad immigrati provenienti da Iraq, Somalia e Siria in procinto di raggiungere l’Europa attraverso la Grecia. Un dato che rafforza la tesi secondo cui è la Turchia lo snodo, incontrollato e nuovo, di cui i commercianti di uomini si sono impossessati per lucrare su guerre e popoli in fuga. “La responsabilità maggiore è delle autorità tuche”, osserva a ilfattoquotidiano.it Dimitri Deliolanes, corrispondente in Italia della televisione greca Ert, oggi chiamata Nerit. “Tra Ue e Turchia ci sono una serie di accordi per il controllo delle frontiere ma – continua – non vengono applicati perché Ankara in cambio vorrebbe eliminare l’obbligo di visto per i propri concittadini che entrano in area Schengen. Per cui la Turchia opera un vero e proprio boicottaggio di accordi già siglati sulla pelle dell’anello debole dell’Ue, la Grecia”.
Per cui Smirne è diventato una sorta di hub per gli immigrati che vogliono attraversare illegalmente la Grecia, forte anche dei numeri che proprio da Atene provengono, con una situazione di fatto fuori controllo. Secondo Apostolos Veizis, Capo Missione di Medici senza frontiere in Grecia “in sei anni, abbiamo effettuato più di 9.000 visite mediche all’interno dei centri di detenzione e delle stazioni di polizia dove migranti e richiedenti asilo vengono trattenuti. Ma nonostante i nostri ripetuti appelli per il miglioramento delle condizioni di detenzione e l’accesso all’assistenza sanitaria per i migranti, abbiamo visto solo piccoli cambiamenti mentre la situazione generale continua a peggiorare.”
Numerosi gruppi di extracomunitari sempre più spesso trovano rifugio in vecchie fabbriche abbandonate, così come accaduto nella città marittima di Patrasso, alimentando la protesta dei residenti e gli ormai noti episodi di guerriglia urbana contro i militanti di Alba dorata che le forze dell’ordine faticano a controllare. “In Grecia arrivano circa mille extracomunitari al giorno – dice Efi Latsoudi, volontaria di accoglienza nell’isola di Mitilini, al confine con la Turchia – e sarà sempre così perché le guerre e i bisogni portano ad un aumento sempre costante del fenomeno. Qui e nelle isole del Dodecanneso la situazione è particolarmente critica”. Un panorama che fa da sfondo ai problemi legati all’operazione Mare Nostrum, con il peso portato solo dall’Italia e con l’atavica problematica legata al Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle migrazioni che ha sede nella “lontana” Polonia anziché al centro del Mediterraneo dove si sta consumando questa assurda crisi.